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La funzione riflessiva consente al bambino, così come all’adulto, di sperimentare gli stati affettivi dell’Altro su un piano simbolico.

La costruzione del Sé

I filosofi della mente indicano con il concetto di posizione intenzionale la facoltà di attribuire credenze, aspettative e motivazioni a sé stessi e agli altri. L’acquisizione di una teoria della mente (mentalizzazione), secondo gli psicologi dello sviluppo, avviene intorno al secondo-terzo anno di vita, richiedendo al bambino la consapevolezza di sé, la capacità di far finta (ben evidenziata nel gioco) e la capacità di distinguere la realtà materiale da quella psichica.

Un livello più sofisticato nell’attribuzione di un’opinione o di un desiderio viene raggiunto dal bambino intorno al sesto anno, quando è in grado di pensare al pensiero che una persona formula su un terzo individuo.

Indice

L'Io e il Me  

Riferendosi all’esperienza del Sé lo psicoanalista Peter Fonagy riprende la distinzione fatta da William James fra l’«Io» e il «Me», indicando rispettivamente il senso di Sé come soggetto e la consapevolezza psichica del Sé come oggetto.

L’«Io» consente di organizzare e interpretare l’esperienza, di dare continuità temporale al Sé e, pur inserendo l’individuo nell’immediatezza del vissuto, lascia aperta la possibilità di rivolgere l’attenzione non al mondo di cui si fa esperienza, ma all’esperienza stessa, ovvero al «Me». Il Me caratterizza dunque la rappresentazione mentale del Sé ed è sostenuto dall’attività organizzatrice dell’Io.

Metarappresentazioni

L’interesse che muove Fonagy nello studio delle metarappresentazioni che un soggetto compie sul Sé, scaturisce da alcune rilevanze riscontrate sia nella clinica che nella ricerca, dove le rappresentazioni di secondo ordine si pongono come uno dei più importanti fattori dello sviluppo della personalità normale e patologica.

La funzione riflessiva consente al bambino, così come all’adulto, di sperimentare gli stati affettivi dell’Altro su un piano simbolico e di poterli comprendere senza necessariamente provarli.

In una situazione spiacevole la rappresentazione mentale di un’emozione conferisce uno statuto di realtà psichica a degli affetti che, se venissero percepiti come immediatamente presenti nel mondo fisico, risulterebbero ancor più terrificanti e pericolosi per la sicurezza dell’individuo.

La riflessione sulla mente dell’Altro permette inoltre di integrare gli aspetti percepiti come buoni con quelli vissuti come cattivi, generando, in un processo dialettico tra mondo psichico e real­tà esterna, una totalità che dia coerenza e prevedibilità alle sue azioni.

La mentalizzazione delle emozioni dolorose favorisce il ricorso a stili difensivi evoluti in cui l’affetto, piuttosto che essere distorto o negato, può essere finalmente pensato e metabolizzato.

Tale capacità si sviluppa a partire da una relazione d’attaccamento sicura, all’interno della quale il bambino può esplorare la mente dell’adulto, imparando così a riconoscere le sfumature dell’atteggiamento intenzionale che gli viene rivolto.

Per qualche spunto in più guarda questo video sulla sintonizzazione e traduzione materna:


 

Inibizione della capacità di mentalizzazione

Nei casi clinici che Fonagy prende in considerazione emerge la difficoltà dei pazienti di vivere le diverse tonalità emotive delle esperienze e, al contempo, di formulare delle rappresentazioni nitide delle relazioni interpersonali.

Durante l’analisi i pazienti ripercorrono la loro storia e rievocano delle vicissitudini esistenziali in cui il fallimento o l’assenza di una copertura simbolica finisce per amplificare la loro valenza traumatica.

Sulla base di tali evidenze cliniche Fonagy (soprattutto in riferimento al disturbo borderline) considera l’inibizione della capacità di mentalizzazione come una strategia difensiva adottata dal bambino per stabilire una «separazione vitale» da un genitore abusante:

il vuoto derivante dall’assenza di significato è infatti preferibile alla consapevolezza (senza vie di fuga) di stati mentali che minacciano la sopravvivenza del Sé.

In queste situazioni così drammatiche il bambino sfugge allo «sguardo dell’altro», rifugiandosi in «un disconoscimento difensivo dell’esistenza mentale» dell’Altro – inteso in termini di funzionamento psichico [P. Fonagy (1991), «Pensare sul pensiero: osservazioni cliniche e teoriche sul trattamento di un paziente borderline» in P. Fonagy, M. Target, Attaccamento e funzione riflessiva, Cortina, Milano 2001, pp. 29-55].

Nella linea evolutiva che viene tracciata il soggetto mantiene la percezione del mondo esteriore, ma perde, seppur in modo parziale e non definitivo, la possibilità di comprendere il significato degli incontri interpersonali.

Per qualche spunto in più guarda questo intervento sull'essere soli, ma non senza l'Altro:


Psicoterapeuta Torino
Nicolò Terminio, psicoterapeuta e dottore di ricerca, lavora come psicoanalista a Torino.
La pratica psicoanalitica di Nicolò è caratterizzata dal confronto costante con la ricerca scientifica più aggiornata.
Allo stesso tempo dedica una particolare attenzione alla dimensione creativa del soggetto.
I suoi ambiti clinici e di ricerca riguardano la cura dei nuovi sintomi (ansia, attacchi di panico e depressione; anoressia, bulimia e obesità; gioco d’azzardo patologico e nuove dipendenze) e in particolare la clinica borderline.

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