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La questione clinica della psicosi deriva dall’assenza dell’iscrizione della funzione del Nome del Padre.

Lo sciame borderline e la svolta delle neo-melanconie

Il mio cammino in Jonas mi ha sostenuto anche in altre esperienze cliniche spingendomi a riformulare alcuni aspetti della teoria e della pratica psicoanalitica.

Quando avevo trent’anni mi sono ritrovato a essere responsabile clinico di una comunità terapeutica per tossicodipendenti e alcolisti. Avevo già conseguito un dottorato di ricerca, la specializzazione in psicoterapia e ritenevo veri alcuni principi teorico-clinici, ma l’incontro con i pazienti borderline ha sgretolato quei presupposti di partenza.

In comunità

Partivo dall’idea che quando si ascolta un soggetto ci deve essere, dietro ai fenomeni che osserviamo, una nevrosi, una psicosi o una perversione. Solo che questa prospettiva spesso non permetteva di cogliere la vera questione dei pazienti.

Il mio compito di responsabile clinico consisteva anche nel dare un orientamento al lavoro degli operatori, anche di coloro che non avevano una formazione clinica.

Per esempio, era importante chiarire alla cuoca, quando il sabato pomeriggio rimaneva da sola in comunità, che se alle 17:05 e non alle 17:00 arrivava un paziente psicotico che voleva lo yogurt bisognava comportarsi in modo diverso rispetto a un paziente borderline che avrebbe potuto rivolgerle la stessa richiesta. Se trattiamo un paziente psicotico come un borderline o viceversa rischiamo di metterci in situazioni spiacevoli o addirittura pericolose.

Sciame e struttura

Se consideriamo i fenomeni clinici come la limatura di ferro su un tavolo e quella che chiamiamo “struttura” come il campo magnetico sotto il tavolo, allora siamo portati a pensare che sotto tutti i fenomeni clinici che osserviamo ci siano tre tipi di campi magnetici: psicosi, nevrosi e perversione.

La mia tesi sullo sciame borderline sostiene che, oltre a questi tre campi magnetici (tre strutture), esiste un quarto campo magnetico che non funziona secondo la logica della struttura, ma secondo la logica dello sciame.

Che cos’è lo sciame? È lo sciame ronzante dei significanti, tanti S1 che non fanno trama, si tratta di S1 che non rimandano a nessun S2.

Quindi possiamo considerare le tre strutture (psicosi, nevrosi e perversione) e un funzionamento che non segue la logica della struttura, ma la logica dello sciame.

Da questo punto di vista il lavoro clinico svolto nei colloqui preliminari può consistere nel passaggio dallo sciame alla struttura perché ci sono dei soggetti che non funzionano secondo la logica della struttura.

L’elaborazione di questo aspetto teorico-clinico per me non è stata né semplice né immediata perché ho dovuto superare il pregiudizio sull’esistenza della struttura: è possibile ipotizzare che esistano dei soggetti per cui la struttura non è già data e che va allora costruita attraverso il lavoro clinico?

Quando parliamo dello sciame borderline ci stiamo riferendo a una clinica senza discorso che mette in questione la possibilità di esistenza del discorso dell’inconscio. Come osservò una volta Recalcati in una supervisione, in questi casi la cura si configura come la chance per la struttura.

Borderline e psicosi

Va precisato che i ritorni del Reale della clinica borderline, sebbene siano fuori dalla struttura, non sono analoghi ai ritorni del Reale della psicosi.

La questione clinica della psicosi deriva dall’assenza dell’iscrizione della funzione del Nome del Padre e dall’assenza del sentimento della vita.

Il Nome del Padre svolge la funzione di Terzo tra soggetto e Altro e quando manca il soggetto è totalmente in balia della volontà di godimento dell’Altro.

Nel libro Lo sciame borderline avevo fatto riferimento a un episodio che mi era capitato durante uno stage in una comunità per pazienti psicotici: in quella occasione avevo rischiato di essere accoltellato da una paziente perché le stavo semplicemente a fianco senza però aver chiarito le ragioni e le motivazioni del mio essere lì vicino a lei. La situazione si risolse grazie all’intervento di un operatore che dandomi un compito da svolgere – eravamo in cucina e mi disse di mettermi a lavorare iniziando a tagliare dei pomodori – ristabilì il senso della mia presenza vicino alla paziente.

Ora, il soggetto psicotico sebbene possa compiere degli agiti sulla base di un’interpretazione delirante è comunque in grado di costruire una trama. È vero che si tratta di una trama delirante però è pur sempre una trama. Invece nella clinica borderline riscontriamo una stabile instabilità che deriva dall’assenza di una trama: il borderline non riesce a stabilizzarsi, neanche attraverso il delirio

Trauma, disforia e dissociazione

I markers psicopatologici del borderline sono: il trauma, la disforia e la dissociazione. Il trauma è un S1 che non è ancora salito sulla giostra del discorso. Nel lavoro clinico bisogna allora aprire il discorso dell’inconscio ed è importante sottolineare che la trama del discorso è anche la trama dell’Altro.

Qual è la problematica del borderline? L’Altro del borderline è un Altro traumatizzante che funziona come uno sciame, è un Altro in cui non ci si raccapezza.

Il borderline è un soggetto che non riesce a ricostruire una trama discorsiva perché per farlo dovrebbe fare i conti con un’iscrizione traumatica che risulta insopportabile e che azzera la stessa possibilità di costruire un discorso.

Nella pratica clinica riscontriamo la presenza di esperienza traumatiche anche nella nevrosi, ma nella nevrosi il trauma può essere trattato attraverso il processo di costruzione del fantasma.

Nel borderline invece il trauma è così esorbitante che disabilita ogni possibile fantasmatizzazione e per tal ragione non può essere interrogato. Dunque, nella clinica borderline il soggetto rimane in preda alla presa traumatizzante dell’Altro e, visto che non può separarsi attraverso la via del fantasma, si rifugia nel meccanismo di difesa della dissociazione. 

Separazione senza alienazione

Possiamo accostarci alla dissociazione attraverso la formula “separazione senza alienazione” che è stata coniata da Recalcati per illustrare la specifica disconnessione tra soggetto e Altro nella clinica dei nuovi sintomi.

Separazione senza alienazione ci offre l’occasione per costruire un ponte tra la tradizione di ricerca che seguendo l’opera di Freud si è focalizzata sulla logica del conflitto e della rimozione e la tradizione di ricerca che partendo dai contributi di Janet ha messo in luce la logica del trauma e della dissociazione.

Separazione senza alienazione è una formula che illustra un funzionamento, ben diverso da quello orientato dalla rimozione, perché non riporta l’attenzione verso il conflitto che riguarda il desiderio del soggetto (il desiderio di avere un proprio desiderio) e il desiderio dell’Altro (il desiderio di riconoscimento).

Con separazione senza alienazione Recalcati mostra la disconnessione del soggetto dal campo dell’Altro che avviene facendo a meno o rifiutando il legame con l’Altro, anzi per essere più precisi dovremmo dire che si tratta del rifiuto dell’iscrizione simbolica e Reale del soggetto nel campo relazionale instaurato dal legame con l’Altro. Ecco perché la dissociazione, in quanto disconnessione non-simbolica dalla traccia traumatica dell’Altro, si presenta come espressione della separazione senza alienazione.

Il borderline rifiuta la traccia traumatica che lo iscriverebbe nel campo dell’Altro perché questa traccia fa sopraggiungere un eccesso di godimento che lo annienta. E purtroppo sottraendosi alla presa traumatizzante dell’Altro si ritrova nella stabile precarietà dovuta all’assenza del discorso dell’Altro.

Nella rimozione avviene la registrazione di un desiderio che poi viene rimosso dalla trama cosciente e va a situarsi in una trama inconscia. Invece nella dissociazione c’è l’impossibilità di registrare un evento traumatico perché è eccessivo e l’unica strategia che il soggetto trova per sentirsi al sicuro è non sentire niente impedendo all’evento di manifestarsi in tutta la sua portata dirompente.

Nella clinica del trauma e della dissociazione siamo di fronte alla disaggregazione dei significanti, invece nella clinica del conflitto e della rimozione osserviamo la presenza della struttura e della funzione che aggrega i significanti. 

Clinica del vuoto e neo-melanconie

Nel libro L’uomo senza inconscio Recalcati concettualizza la clinica del vuoto distinguendo una clinica dell’Es senza inconscio e una clinica dell’Io senza inconscio.

La clinica dell’Es senza inconscio è una clinica dell’Es senza l’inconscio strutturato come un linguaggio, quindi è una clinica dove prevale la disregolazione pulsionale senza la mediazione della struttura. Nella clinica dell’Es senza inconscio non troviamo solo lo sciame borderline, ma anche la melanconia e la schizofrenia.

Nella clinica dell’Io senza l’inconscio strutturato come un linguaggio troviamo invece la paranoia, la perversione e altre manifestazioni psicotiche in cui il sintomo è una difesa dal Reale.

Nell’anoressia psicotica il soggetto rifiutando il cibo rifiuta l’Altro e al tempo stesso prende le distanze dall’alterità Reale del suo corpo vissuto. In queste situazioni il sintomo anoressico svolge una funzione identificatoria e stabilizzante, quindi nel momento in cui la problematica alimentare può iniziare a risolversi può avvenire uno sfaldamento dell’identificazione e allora il soggetto può anche iniziare a delirare per compensare l’assenza di fondamento causata dalla forclusione. Quindi nella clinica dell’Io senza inconscio i sintomi sono un rammendo per l’assenza del Nome del Padre.

Nel libro Le nuove melanconie Recalcati compie un ulteriore passaggio teorico-clinico e riformula la clinica del vuoto come espressione dell’incandescenza dell’Es senza inconscio. Allo stesso tempo Recalcati apre il campo della clinica securitaria includendovi delle nuove forme di melanconia che sembrano simili alla clinica dell’Io senza inconscio, perché i soggetti pur essendo psicotici non presentano la floridezza sintomatologica di sintomi positivi come il delirio e le allucinazioni. Le nuove melanconie però non sono espressione né di una clinica dell’Es senza inconscio come le classiche melanconie né di una clinica dell’Io senza inconscio come le anoressie psicotiche perché non si configurano come una difesa dal Reale ma piuttosto diventano una modalità di immersione nel Reale.

Nelle nuove melanconie non assistiamo alla costruzione del muro di un Io che non delira e che si difende dal Reale, ma siamo di fronte alla lucidità di un Io che si sente immerso nell’insensatezza della vita, nella vita come pura espressione dell’insensatezza del Reale.

È dunque nell’assenza del sentimento della vita che troviamo il fondo psicotico e l'isolamento delle nuove melanconie.

E da questo punto di vista possiamo considerare le nuove melanconie non come psicosi classiche o ordinarie ma come delle psicosi straordinarie perché ci presentano un soggetto in cui si realizza la forclusione del sentimento della vita ma non la forclusione del Nome del Padre.

Il soggetto neo-melanconico non è sganciato da un sistema di presupposti condivisi che funzionano come requisiti della partecipazione a un discorso prestabilito e al senso comune, infatti non osserviamo la manifestazione dei deragliamenti semantici del delirio, visto che il delirio si presenta come quell’andare oltre il solco del common-sense.

In fondo gli agiti del borderline, gli agiti dei pazienti schizofrenici o i passaggi all’atto della melanconia sono dei modi non simbolici di difendersi dal Reale. Invece, nelle neo-melanconie troviamo un soggetto che è inabissato nell’insensatezza del Reale. Quando ascoltiamo i soggetti neo-melanconici constatiamo la loro lucidità nel descrivere l’assenza del sentimento della vita, non delirano, denunciano soltanto che tutti i significanti relazionali che provengono dall’Altro sono solo tenui sembianti di una dimensione simbolica che non ha mai adottato il Reale insensato della loro esistenza.

Varianti neo-melanconiche

Nella riflessione sulle neo-melanconie è importante sottolineare che la dimensione securitaria del sintomo non è sempre indice di psicosi, non tutte le neo-melanconie sono psicotiche, in alcuni casi il nucleo psicopatologico non scaturisce dalla forclusione ma dall’olofrase. Nel suo testo Recalcati non lo dice esplicitamente, ma quando parla del ritiro sociale degli adolescenti fa notare la differenza tra una neo-melanconia psicotica e una forma di ritiro neo-melanconico che funziona secondo la logica dell’olofrase.

È a questo proposito che possiamo trovare un filo conduttore che attraversa le nuove melanconie, la separazione senza alienazione e l’olofrase. E attraverso l’olofrase ritrovare anche lo sciame borderline.

Sciame e olofrase

Lo sciame borderline riguarda solo una porzione della clinica del vuoto, esistono infatti altre forme di separazione senza alienazione che non sono riconducibili né alla logica dello sciame né al paradigma della psicosi.

Quindi se nella psicosi ci troviamo di fronte a una clinica basata sulla forclusione – un giorno potremo anche chiarire le varie forme di forclusione che caratterizzano le psicosi –, nello sciame borderline il problema clinico di base non riguarda l’assenza di un Terzo. Nella psicosi la questione è trovare un punto di capitone al deragliamento semantico della vita e della trama dei significanti, nella clinica borderline la necessità è invece quella di istituire una sintassi tra i significanti.

Se nella psicosi il problema psicopatologico è semantico (sentimento della vita e Nome del Padre), nel borderline si tratta invece di un deficit sintattico.

Se consideriamo la questione clinica dello sciame borderline come un problema che riguarda la sintassi dei significanti (S1 → S2), allora possiamo riprendere la figura linguistica dell’olofrase come analoga forma di funzionamento soggettivo che esclude la dimensione del discorso.

Oltre allo sciame borderline, troviamo l’olofrase: in entrambi i casi siamo di fronte a logiche di funzionamento che non indicano l’esistenza della struttura e mostrano semmai l’assenza del rimando e dell’associazione sintattica dei significanti.

Possiamo sinteticamente schematizzare la questione della struttura della catena significante, dello sciame dei significanti e dell’olofrasizzazione dei significanti in questo modo:

STRUTTURA            SCIAME           OLOFRASE

S1 → S2                                   S1 // S2                  S1S2

Nella clinica dello sciame borderline e nella clinica dell’olofrase è messa in discussione la costruzione del discorso, ossia la possibilità di istituire la sintassi dei significanti.

Lo sciame presenta la disaggregazione dei significanti, mentre l’olofrase mostra il congelamento dei significanti; in entrambi i casi viene compromessa la possibilità di istituire una trama.

Se lo sciame ci mostra uno sparpagliamento, l’olofrase ci mostra un agglutinamento. E la svolta delle neo-melanconie ci suggerisce che occorre chiarire la diagnosi differenziale, distinguendo all’interno della clinica securitaria la questione della forclusione del sentimento della vita dalla questione dell’olofrase, perché nel primo caso è in primo piano l’immersione nel Reale, mentre nel secondo è in atto un congelamento che prova ad arginare l’irruzione del Reale.

 

Per qualche spunto in più guarda questo video sullo sciame borderline.

 

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Per approfondire, tra i libri di Nicolò Terminio, si rimanda a Lo sciame borderline. Trauma, disforia e dissociazione, pref. di M. Recalcati, Raffaello Cortina editore, Milano 2024.
 
Psicoterapeuta Torino
Nicolò Terminio, psicoterapeuta e dottore di ricerca, lavora come psicoanalista a Torino.
La pratica psicoanalitica di Nicolò è caratterizzata dal confronto costante con la ricerca scientifica più aggiornata.
Allo stesso tempo dedica una particolare attenzione alla dimensione creativa del soggetto.
I suoi ambiti clinici e di ricerca riguardano la cura dei nuovi sintomi (ansia, attacchi di panico e depressione; anoressia, bulimia e obesità; gioco d’azzardo patologico e nuove dipendenze) e in particolare la clinica borderline.

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