Il marchio dell'Altro e il vuoto neo-melanconico
All’inizio dell’esistenza umana non c’è la dimensione articolata del linguaggio, ma il significante come evento Reale che imprime la presenza dell’Altro nel ritmo della nostra vita.
A volte questa prima impressione del marchio della presenza dell’Altro non viene scritta e successivamente non potrà mai più farlo perché si tratta di una scrittura che può avvenire solo nei primi anni di vita.
Durante i primi anni di vita il soggetto comincia a entrare nel campo relazionale aperto dal linguaggio e il fluire della sua dimensione emotiva e affettiva è particolarmente sensibile alla forma che viene data dall’Altro.
Nei casi di psicosi melanconica osserviamo la mancata iscrizione affettiva dell’Altro.
L’Altro del melanconico non scrive il sentimento della vita nell’esistenza del soggetto perché non fa fare al soggetto un’esperienza del Reale che sia un’occasione di incontro con l’Altro. In tal modo l’esistenza del soggetto melanconico viene lasciata a sé stessa perché l’Altro non svolge la sua funzione di accoglienza, non manifesta cioè la sua gioia per l’esistenza del soggetto.
Nella psicosi melanconica il Reale dell’esistenza coincide con la dolorosa insensatezza della vita ed è una condizione soggettiva che non troverà più alcuna mitigazione nell’accoglienza e nelle cure che potranno venire offerte dagli altri.
Nell’esistenza del melanconico non si è impresso, quando avrebbe dovuto, l’incontro con l’Altro.
Nella melanconia la manifestazione del Reale come radicale insensatezza della vita ci mostra un soggetto che non è mai salito sulla giostra della relazione con l’Altro.
Se nella clinica delle nevrosi constatiamo che il soggetto deve accogliere l’eredità del primo marchio della relazione con l’Altro, nella clinica delle psicosi osserviamo invece un disancoraggio totale da questo marchio perché questo primo marchio l’Altro non lo ha mai scritto lasciando il soggetto nell’assenza di senso della sua esistenza.
Possiamo scoprire un’esemplificazione ancor più paradigmatica di questa condizione nei casi di neo-melanconia. Come mette in luce Massimo Recalcati (Le nuove melanconie, 2019), in questi casi l’esistenza del soggetto si manifesta come un puro scarto dell’Altro, ma il neo-melanconico – a differenza del melanconico – non ha ancora ricoperto il Reale con un senso delirante. Nella neo-melanconia il soggetto non presenta sintomi positivi come il delirio o l’allucinazione e addirittura può formulare una visione razionale dell’assenza di senso della vita.
Troviamo una testimonianza di questa possibilità in Sunset Limited, un breve “romanzo drammatico” di Cormac McCarthy: nel dialogo tra i due protagonisti possiamo osservare come la posizione del soggetto neo-melanconico non sia del tutto estranea a quella di tutti noi, tuttavia percepiamo uno scarto che rompe ogni possibilità di dialogo e segna una distanza incolmabile.
Nel dialogo con un soggetto neo-meanconico ogni nostro tentativo per trasmettere la nostra partecipazione non sortisce alcun effetto.
Il soggetto neo-melanconico potrà anche riconoscere i nostri sforzi per accostarci alla sua esistenza, ma gli mancherà comunque la possibilità di sentirsi ravvivato e toccato dal nostro tentativo di co-esserci. E se ci avventuriamo in un dialogo serrato e profondo sul senso della vita, come quello dei protagonisti di Sunset Limited, incontriamo inevitabilmente una dimensione impossibile da attraversare con le parole, perché le parole non possono colmare quel vuoto centrale che le genera come parole animate dal sentimento della vita.
Il sentimento della vita nasce prima delle parole, il sentimento della vita è la sorgente, è l’enunciazione fondamentale a partire da cui ogni soggetto genera i suoi enunciati. E purtroppo nelle neo-melanconie constatiamo che il soggetto è capace di produrre degli enunciati, ma il suo dire non è sostenuto dal sentimento della vita. In alcuni casi di psicosi neo-melanconica il soggetto è addirittura capace di formulare degli enunciati complessi sull’assenza dell’enunciazione fondamentale che connota il suo vuoto esistenziale. È a partire da qui che nel dialogo di Cormac McCarthy possiamo cogliere, grazie alla sua dolorosa assenza, ciò che ci permette di partecipare alla vita.