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Nel discorso del professore del romanzo Sunset Limited il tentativo di suicidio non è un appello ma modo per separarsi dall’Altro.

Depressione e tentativo di suicidio sui binari del Sunset Limited

Sunset Limited è un libro di Cormac McCarthy che prende spunto dal vissuto depressivo e dal tentativo di suicidio di uno dei due protagonisti.

In questo romanzo drammatico veniamo subito riportati a un dialogo tra fede e intelletto che ha per argomento quella insondabile decisione che rende una vita degna di essere vissuta.

Il Sunset Limited è il treno della metro sotto il quale avrebbe voluto suicidarsi il protagonista BIANCO. La scena da cui partiamo è però dentro la cucina di un appartamento anomimo, un po’ squallido ma pulito, dove abita l’altro protagonista NERO. Il dialogo inizia in quella cucina, quando ormai il NERO ha salvato il BIANCO e stanno discutendo sull’opportunità del suicidio quando si vede ormai la vita come assenza di senso.

 

Indice

Intelletto e verità

Il treno della ragione critica ha portato il BIANCO, che è anche un professore universitario, dritto dritto verso la perdita di senso. L’egemonia dell’intelletto, come la chiama lui, non gli permette di accedere a quella condizione esistenziale, che secondo il NERO gli permetterebbe di sentire quella vena che non ti fa buttare giù sotto il Sunset Limited.

Il NERO introduce sin dall’inizio del dialogo la presenza di Gesù e racconta anche una storia di galera che gliel’ha fatta incontrare.

Nonostante la pazienza e la fiducia con cui il NERO cerca di portare dalla sua parte il BIANCO, quest’ultimo rimane scettico e incredulo perché ormai è giunto a una consapevolezza maggiore sulla realtà. La caduta progressiva delle illusioni lo spinge a ritenere che “il desiderio di Dio non è che il segno di una mancanza in chi lo prova”.

È un mondo senza desiderio dell’Altro che emerge dalle contro-argomentazioni del BIANCO. Ed è un mondo che non poggia su nessuna verità: non c’è un reale fondamento a partire da cui proiettarsi verso una direzione di senso.

Tutto sparisce e perde inesorabilmente valore: l’unica verità che si profila all’orizzonte è l’assenza di fondamento della vita stessa.

Verso la fine del dibattito il BIANCO si definirà come professore delle tenebre: anela all’oscurità perché la vita non è altro che una notte travestita da giorno.

Ciò in cui sembra credere il NERO si configura allora, secondo il BIANCO, come un velo di credenze infondate e non verificabili. Ma il NERO non vuole contrapporre alle certezze disincantate del BIANCO delle controprove.

Per esempio, quando il NERO vuole far comprendere l’importanza della Bibbia, che “vediamo” poggiata sul tavolo della cucina, non dice che è più vera del libro Decadenza e caduta dell’impero romano di Gibbon, il libro indicato dal BIANCO come uno dei più importanti che abbia letto in quarant’anni di studio assennato.

La Bibbia non è più vera ma è comunque il libro migliore perché la verità che enuncia è in grado di orientare ancora oggi l’apertura alla vita degli esseri umani.

L'insegnamento di Gesù

Man mano che il dialogo si sviluppa vediamo che il NERO cerca di spostare l’attenzione del BIANCO verso una sorta di intelligenza relazionale, una capacità di lettura della vita che parte dall’incontro ravvicinato con chi magari si vorrebbe sopprimere o che comunque si considera degno di imprecazioni, come quelle che fa il BIANCO nei suoi viaggi in metropolitana. Per la verità, le fa quasi fra sé e sé, a bassa voce per non farsi sentire. Ed è proprio contro questo atteggiamento che si schiera il NERO citando a questo proposito l’insegnamento principale di Gesù:

“Lui non ha detto questo. Lui ha detto che si poteva avere la vita eterna. La vita. Averla oggi. Tenerla in mano. E poterla vedere. Emana una luce. Ha anche un certo peso. Non tanto. Ed è calda a toccarla. Appena appena. Ed è eterna. E tu la puoi avere. Adesso. Oggi. Solo che tu non la vuoi. Non la vuoi perché per ottenerla devi togliere le mani di dosso a tuo fratello. Anzi, devi prenderlo e abbracciarlo forte, senza stare a guardare il colore della pelle o quanto puzza, e perfino se lui per primo non vuole farsi abbracciare. E perché non lo vuoi fare? Perché lui non se lo merita.”

La fede del NERO non trova il suo compimento in un mondo diverso da quello in cui vive. E la presenza di Gesù non va ricercata al di fuori della propria vita relazionale e forse bisognerebbe intendere Gesù in un modo un po’ eretico:

“Direi che la cosa di cui stiamo parlando è sì Gesù, ma Gesù inteso come quell’oro in fondo alla miniera. Lui non poteva scendere sulla terra e prendere la forma di un uomo se quella forma non era fatta apposta per ospitarlo. E se dico che non c’è verso che Gesù sia un uomo senza che un uomo sia Gesù, mi sa che la sparo grossa l’eresia. Ma pazienza.”

Ciò che interessa al NERO non è capire Dio, ma capire ciò che Dio vuole da lui.

È il desiderio di Dio inteso come Altro con la A maiuscola che orienta il NERO verso gli altri: “bisogna amare i propri fratelli, altrimenti si muore”. E la morte di cui parla consiste nella perdita del sentimento della vita, quel sentimento che non può essere fondato dal senso e di cui ne costituisce piuttosto il fondamento.

Depressione, perdita e dolore

Il NERO ricorderà al BIANCO anche: “bisogna che credi a quello che senti”. Ma il BIANCO continuerà a sentirsi profondamente estraneo alla sua vita e a invocare invece l’arrivo della morte, ormai unica consolazione per la sua disperazione.

Non è però la disperazione dovuta alla perdita di qualcosa che c’è stato e che non ritornerà più.

Il suo vissuto depressivo che sembra condurlo inesorabilmente verso il suicidio non deriva dall’assenza di qualcuno o qualcosa di importante e significativo.

Non assistiamo alle riflessioni di un soggetto dilaniato dal dolore della perdita. Secondo il NERO, il BIANCO sembra uno che è paradossalmente aggrappato a qualcosa che non vuole mollare:

“sono convinto che quando hai fatto il tuo famoso salto tu a quel salto ti ci stavi aggrappando e te lo stavi portando dietro. Ti ci stavi aggrappando con tutte le tue forze.”

La distinzione tra dolore di esistere e dolore dovuto alla perdita è una questione su cui il NERO ritorna in più momenti. La perdita non sembra una motivazione sufficiente per il suicidio, anzi l’ostinazione del BIANCO sembra assomigliare a quella di chi non vuole rinunciare a qualcosa.

Il NERO si interrogherà ancora con queste parole: “Di che tipo di dolore stiamo parlando? Secondo me, se fosse il dolore per una perdita a portare la gente al suicidio, anche solo seppellirli tutti quanti prima che scende il sole sarebbe un lavoro a tempo pieno. E allora torno sempre alla stessa domanda. Se non è quello che uno ha perso a dare questa sofferenza insopportabile, allora forse è quello che uno non perderà mai. È quello che preferirebbe morire, piuttosto di mollare”.

Forse non siamo legittimati a pensare che nel BIANCO ci sia un’ostinata adesione a una prospettiva cinica e disillusa. Anzi già dire che si tratta di una prospettiva sarebbe quasi tradirne il vissuto perché per il BIANCO la sua non è una visione pessimistica della realtà ma coincide con lo stato delle cose:

la sua non è una rappresentazione ma è la realtà stessa.

Tutto ciò che allontanerebbe il BIANCO da questa posizione soggettiva appare soltanto come il tenue sembiante di sogni e illusioni con cui gli esseri umani si proteggono:

“Se la gente vedesse il mondo per com’è davvero. Se vedesse, la propria vita per com’è davvero. Senza sogni o illusioni. Non credo che troverebbe un solo motivo per non scegliere di morire il prima possibile.”

Non c’è alcuno iato tra la sua rappresentazione e la vita, è con assoluta certezza che il BIANCO crede nell’assenza di valore della vita, sembra essere questa la verità prima su cui poi eventualmente possiamo mettere qualche mano di vernice per edulcorolarla o mistificarla.

Il suicidio e l'Altro: appello o separazione?

Il BIANCO non cerca un’altra vita, una vita migliore, una via di fuga che possa fungere da alternativa, vuole soltanto che tutto finisca.

La morte non si configura come l’ultimo espediente per dare una svolta a una vita che si vorrebbe migliore.

Per il BIANCO il suicidio non è sintomo di una richiesta d’aiuto verso qualcun Altro, anzi è proprio il modo per tagliare il legame con l’Altro.

Molto spesso succede che i tentativi di suicidio siano forme estreme per attirare l’attenzione dell’Altro che si sente assente o insensibile alla propria presenza nel mondo.

In questi casi il suicidio lungi dall’essere un voler morire è piuttosto un appello rivolto al desiderio dell’Altro, estremo tentativo per resuscitare il desiderio dell’Altro e per mettere alla prova l’Altro di fronte alla questione che attanaglia la vita relazionale dei soggetti nevrotici: “puoi perdermi?”.

E così nel fantasticare il giorno del proprio funerale il soggetto sarà ancora lì a scrutare sulla scena le reazioni e i vissuti degli altri per intercettare i segnali del dolore causati dalla sua assenza.

In questi casi allora le idee suicidarie possono configurarsi come un modo estremo per ravvivare attraverso la propria assenza le manifestazioni del desiderio dell’Altro.

Troviamo una provocazione e un appello simile anche in alcune forme di anoressia dove la strategia sintomatica consiste in una progressiva sottrazione di sé con la speranza che l’Altro si smuova e intervenga mostrando finalmente quell’angoscia per la perdita che darebbe conferma del suo desiderio.

Ora, nel discorso del professore delle tenebre di Sunset Limited questa dinamica relazionale non entra in gioco, si tratta piuttosto di farla finita con gli altri e di separarsi dall’Altro. Non è in questione un appello verso l’Altro.

Nelle battute che preparano il finale osserviamo invece quanto la separazione dall’Altro, un Altro impossibile da perdere, sembri spingere il soggetto a realizzarsi nel proprio dissolvimento:

“Io anelo all’oscurità. Io prego che arrivi la morte. La morte vera. Se pensassi che da morto incontrerei le persone che ho conosciuto in vita, non so cosa farei. Sarebbe la cosa più orrenda. II colmo della disperazione. Se dovessi rincontrare mia madre e ricominciare tutto daccapo, ma stavolta senza la prospettiva della morte a consolarmi… Be’, quello sarebbe l’incubo finale. Kafka coi controfiocchi.”

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Per qualche spunto in più guarda questo video su Immagine, Altro e Mistero.

Per approfondire, tra i libri di Nicolò Terminio, si rimanda a:

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Psicoterapeuta Torino
Nicolò Terminio, psicoterapeuta e dottore di ricerca, lavora come psicoanalista a Torino.
La pratica psicoanalitica di Nicolò è caratterizzata dal confronto costante con la ricerca scientifica più aggiornata.
Allo stesso tempo dedica una particolare attenzione alla dimensione creativa del soggetto.
I suoi ambiti clinici e di ricerca riguardano la cura dei nuovi sintomi (ansia, attacchi di panico e depressione; anoressia, bulimia e obesità; gioco d’azzardo patologico e nuove dipendenze) e in particolare la clinica borderline.

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