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L’idioma delle cure materne emerge in modo particolare nei sogni.

Sognare lo sciame con Bollas: mentalizzazione e discorso dell'inconscio

Lo psicoanalista Christopher Bollas ci permette di cogliere l’importanza della funzione del sogno nel lavoro clinico con i pazienti borderline.

Bollas concepisce il sogno come una sorta di “sorprendente appuntamento” tra due dimensioni dell'esistenza: l’Io cosciente che percepisce e organizza ciò che è stato vissuto e osservato e la lettura inconscia della vita.

Idioma materno ed estetica dell'essere

Nell’evento onirico il soggetto sognante si trova immerso nell’incontro tra la parte consapevole di sé e la struttura psichica inconscia che riflette l’impronta del primo rapporto oggettuale (Bollas, 1987, pp. 49-63).

Nella teoria psicoanalitica la madre è il primo oggetto esterno di cui il neonato fa esperienza. La madre però, oltre a essere un oggetto che pian piano viene differenziato dal Sé e viene percepito nelle sue qualità particolari, si presenta anche come un processo che è collegato all’essere del bambino e alla modificazione e regolazione del suo essere. Per tal ragione Bollas ha definito la madre come un “oggetto trasformativo”.

Nel corso della vita adulta ciascun soggetto continua a cercare degli oggetti che siano capaci di produrre delle trasformazioni del Sé. Le modalità in cui si manifesta il rapporto con l’oggetto porta con sé il marchio del primo legame con l’oggetto materno.

Bollas sottolinea che la madre attraverso il suo particolare idioma di cura trasmette al bambino un’estetica dell'essere.

In una sorta di discorso privato tra madre e bambino viene costruito un idioma di gesti, sguardi e suoni che scandisce l’interazione. La madre “sufficientemente buona” di cui parla Winnicott stabilisce le condizioni relazionali affinché il bambino percepisca una continuità dell’essere.

Nel primo periodo della sua vita il bambino percepisce la madre come un ambiente interno ed esterno perché la madre nel nutrirlo, cambiarlo, cullarlo, giocare e farlo dormire istituisce i ritmi di un processo che trasforma l’esperienza del Sé.

La madre è il primo oggetto conosciuto prima ancora che il bambino ne prenda cognizione attraverso una rappresentazione oggettuale.

In un periodo precoce dello sviluppo la presenza della madre non viene ancora identificata dal bambino come un Altro, ma è vissuta come un processo di trasformazione. In questo momento precoce dell’esistenza il rapporto oggettuale con la madre emerge non come il desiderio verso un oggetto, ma attraverso una sorta di identificazione percettiva dell’oggetto con la sua funzione di trasformazione ambientale e somatica del soggetto.

Il ricordo del primo rapporto oggettuale è un’impronta relazionale che viene registrata nella memoria implicita e permane nel corso di tutta la vita. La ritroviamo, per esempio, nell’esperienza estetica, che è un momento in cui il soggetto si sente afferrato/rapito/coinvolto da un oggetto.

L’impronta del modo in cui il soggetto è stato assoggettato dall’Altro materno stabilisce anche le condizioni del rapporto che il soggetto intrattiene con sé stesso.

La modalità in cui un soggetto si percepisce e si rapporta a sé stesso come soggetto d’esperienza riflette l’impronta delle prime trasformazioni generate dalle cure materne.

L’idioma delle cure materne emerge in modo particolare nei sogni: il sognatore è infatti colui che fa l’esperienza del sogno, ma allo stesso tempo è l’oggetto della sceneggiatura del sogno. Nell’attività del sognare c’è un’intelligenza organizzatrice – la parte inconscia dell’Io di cui parlava Freud e che è stata ripresa e valorizzata dalle riflessioni di Bollas – che predispone lo scenario e la sceneggiatura del sogno. In questa attività di costruzione del sogno si manifesta un rapporto oggettuale del soggetto con sé stesso che rievoca l’impronta della logica materna di cura.

Nel modo in cui un soggetto organizza la sua attività onirica osserviamo quindi l’ombra dell’oggetto, il marchio della relazione con l’Altro, quel marchio che prima ancora di essere conosciuto è stato vissuto come una condizione dell’essere. 

Mentalizzazione e discorso dell'inconscio

Queste riflessioni possono essere utili anche nella cura dello sciame borderline e dell’olofrase alessitimica. Nel corso della cura il sogno infatti può inaugurare il passaggio dalla posizione di spettatore a quella di lettore perché introduce un livello di esperienza in cui il soggetto è protagonista di una scena e, al contempo, scenografo/sceneggiatore di quella stessa scena.

Nel sogno il paziente non ci riferisce solo la sua esperienza di protagonista di uno o più eventi, ma ci mostra anche il lavoro di costruzione con cui dà corpo alla narrazione onirica.

Nella prospettiva di Bollas attraverso il sogno possiamo cogliere gli elementi fondamentali del rapporto tra soggetto e Altro, addirittura prima ancora che il soggetto sia potuto entrare nel campo relazionale del linguaggio articolato. Il sogno ci presenta il marchio emotivo della lalangue. Per tal ragione il sogno si configura come un’esperienza doppiamente interessante per stimolare il processo della mentalizzazione.

In primo luogo, il sogno ci mostra un soggetto che è sia protagonista sia regista di una situazione e quindi attraverso il sogno possiamo far riflettere il paziente sul rapporto che stabilisce fra sé e sé dato che è contemporaneamente il soggetto sognato e il soggetto che sogna sé stesso.

In secondo luogo, il modo in cui un paziente sogna sé stesso rivela il modo in cui è stato trattato dall’Altro: nel sogno il soggetto si sogna a partire dal modo in cui l’Altro ha interagito con lui/lei nel tempo pre-discorsivo della lalangue. E così attraverso il sogno possiamo esplorare e sostenere il lavoro di simbolizzazione che il paziente compie sulle proprie esperienze emotive a partire dal marchio di godimento impresso dalla relazione con l’Altro.

Il sogno non si configura solo come una costellazione di elementi che rivelano un significato conflittuale che riguarda il desiderio rimosso del soggetto. Per sostenere il processo della mentalizzazione ci interessa ancor di più il sogno in quanto costruzione che associa differenti posizioni soggettive che il paziente non riuscirebbe a rappresentare altrimenti.

Nel sogno possiamo reperire i primi movimenti soggettivi del paziente in quanto analizzante del rapporto con sé stesso e con gli altri.

È importante far notare al paziente che quando ci racconta un sogno si sta presentando non solo come il protagonista del sogno ma anche come l’autore della trama e dello scenario in cui è inserito come protagonista. In tal modo si pone in evidenza la dialettica intra- e inter-soggettiva che viene rappresentata nel sogno.

Di fronte al vuoto asemantico e pulsionale dei sintomi borderline e alessitimici il sogno offre l’occasione per puntare l’attenzione sulle possibilità simboliche del paziente.

Il sogno è una delle manifestazioni del discorso dell’inconscio ed è in grado di mostrare al paziente una dimensione Altra che lo abita e da cui può partire per costruire un’alternativa alla ripetizione dell’Straumatico. Ecco perché il sogno può diventare il primo alleato simbolico che è in grado di dare un destino discorsivo all’incandescenza emotiva o alla dimensione siderale che caratterizzano la clinica del vuoto.

Il lavoro onirico può guidarci nella cura dello sciame borderline e dell’olofrase alessitimica perché ci fa capire che il nostro ruolo terapeutico consiste non tanto nel proporre delle interpretazioni sugli enigmi del desiderio inconscio, quanto piuttosto nel farci partner di un lavoro di costruzione dei presupposti del rapporto tra il soggetto e l’Altro.

In fondo il sogno è il primo tentativo attraverso cui un soggetto prova a rappresentarsi, prova a essere altro da sé stesso trasformandosi nell’autore di un Altro discorso per il battito temporale del suo Dasein. Sognare l’ombra dell’oggetto può quindi diventare una delle metafore del lavoro della mentalizzazione, quel lavoro che prova a trasformare i balbettii dell’essere nell’apertura di un nuovo discorso.

 

Per qualche spunto in più guarda questo video sullo sciame borderline.

 

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Psicoterapeuta Torino
Nicolò Terminio, psicoterapeuta e dottore di ricerca, lavora come psicoanalista a Torino.
La pratica psicoanalitica di Nicolò è caratterizzata dal confronto costante con la ricerca scientifica più aggiornata.
Allo stesso tempo dedica una particolare attenzione alla dimensione creativa del soggetto.
I suoi ambiti clinici e di ricerca riguardano la cura dei nuovi sintomi (ansia, attacchi di panico e depressione; anoressia, bulimia e obesità; gioco d’azzardo patologico e nuove dipendenze) e in particolare la clinica borderline.

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