Empatia e identificazione percettiva
Christopher Bollas differenzia il concetto di “identificazione percettiva” da quello di “identificazione proiettiva” con l’intenzione di chiarire alcuni aspetti della teoria delle relazioni oggettuali.
Bollas affronta questo tema in un saggio breve ed estremamente illuminante [Cfr. C. Bollas (2006), Identificazione percettiva, in Il momento freudiano, Franco Angeli, Milano 2007, pp. 79-82].
L'identificazione proiettiva non è empatia
Bollas sottolinea che nell’identificazione proiettiva avviene la proiezione di parti indesiderate del Sé su un oggetto interno o su un altro oggetto reale o su entrambi.
La proiezione (non necessariamente di parti cattive) consente di espellere e, allo stesso tempo, conservare delle parti di sé che possono svolgere funzioni differenti. In tal modo il Sé viene bonificato grazie alla proiezione di queste parti all’esterno e, al contempo, rimane in contatto con questi aspetti di sé mediante una sorta di “controllo psichico a distanza” (p. 79).
Secondo Bollas l’identificazione proiettiva viene spesso utilizzata per chiarire anche il processo psichico e relazionale che permette di identificarsi empaticamente con l’Altro.
In questo caso però l’empatia viene ridotta alla proiezione di alcune parti di sé nell’Altro, come se l’Altro fosse un personaggio in cui ci si riconosce.
Da qui nascono alcuni fraintendimenti e molta confusione sull’empatia e sul rapporto tra il soggetto e un Altro su cui vengono proiettate dalle parti di sé. Può sorgere il dubbio se l’identificazione proiettiva possa aver luogo perché prima esiste un personaggio che consente di proiettare successivamente delle parti di sé su di lui/lei oppure se il personaggio sia essenzialmente il frutto delle proiezioni del soggetto. L’identificazione proiettiva segnalerebbe quindi un eccesso di soggettivizzazione della percezione dell’Altro, che rischia di essere fagocitato dalle proiezioni che gli vengono rivolte.
Se l’identificazione proiettiva assume queste caratteristiche, invece di essere un concetto che permette di cogliere il modo in cui il soggetto entra in empatia con l’Altro, diventa solo un processo in cui avviene la sostituzione dell’Altro con il Sé.
L'amore e la jouissance della differenza
Nella concettualizzazione dell’identificazione percettiva Bollas riprende la teoria winnicottiana dell’uso dell’oggetto. Se il bambino non riesce a distruggere l’oggetto attraverso l’uso soggettivo (e proiettivo) che ne fa, allora può sviluppare un amore particolare per quell’oggetto che è sopravvissuto alle sue proiezioni e alla sua “ricreazione immaginaria”.
Se sostituiamo il termine oggetto con Altro, possiamo dire che nel momento in cui l’Altro sopravvive alle proiezioni del soggetto fa emergere la differenza tra la dimensione immaginaria che il soggetto gli attribuisce e ciò che è effettivamente l’Altro.
Grazie allo scarto tra il mondo creato dalle proiezioni immaginarie del soggetto e l’alterità dell’Altro si realizza la percezione della differenza dell’Altro.
Bollas evidenzia che in questo modo il soggetto può percepire l’oggetto in sé e coglierne la differenza rispetto al Sé (va notato che percezione non vuol dire comprensione).
Bollas scrive che “Quanto più riesce a percepire l’oggetto in sé, tanto più celebra l’oggetto in quanto diverso dal Sé. Questo modello presuppone la jouissance della differenza (non della somiglianza) e implicitamente riconosce la separatezza dell’oggetto” (p. 80). E poi aggiunge: “L’identificazione percettiva ci consente di amare un oggetto. Una forma matura di amore che non funziona secondo gli assiomi intrinsecamente narcisistici della proiezione e dell’introiezione” (p. 80).
Bollas sottolinea che, grazie alla separatezza e alla differenza tra il soggetto e l’Altro, invece di manifestarsi una forma di distanza emotiva, si realizza un amore che istituisce la possibilità di una maggiore flessibilità nella relazione intima tra il soggetto e l’Altro.
L’identificazione percettiva consiste allora nella possibilità di cogliere le caratteristiche dell’Altro per sé stesso e non per quello che il soggetto suppone che l’Altro sia.
Fenomenologia dell'incontro
Queste considerazioni hanno una conseguenza clinica molto importante nell’ascolto del paziente. L’identificazione percettiva richiama l’atteggiamento conoscitivo e relazionale che Husserl formulava attraverso il concetto di “epoché fenomenologico-trascendentale”. Nell’identificazione percettiva avviene infatti una “messa tra parentesi” del proprio mondo per rivolgere attenzione a ciò che l’Altro dice e anche a ciò che suscita.
Bollas sottolinea quanto sia importante fare attenzione alle “prime fondamentali parole di una seduta”, alla “scelta inconscia degli argomenti”, agli “schemi di idee” che si manifestano nel corso del tempo e nel passaggio da un argomento all’altro, ma anche il “suono di certe frasi” e la vibrazione di singole parole che producono un effetto evocativo grazie alla loro tonalità emotiva e alla loro valenza metaforica.
L’identificazione percettiva costituisce una particolare modalità di ascolto del linguaggio e dei significanti che caratterizzano il discorso del paziente.
A questo proposito Bollas riprende l’opera di Freud e soprattutto i passaggi in cui viene sottolineata l’importanza di seguire la “catena di idee” che vengono presentate dal paziente.
La catena di idee è la base significante su cui possono essere poi esercitati gli ulteriori livelli di analisi e interpretazione della psicoanalisi. Ma non solo, la catena di idee manifesta la base su cui può essere costruita anche la cornice relazionale e la pulsazione transferale della cura psicoanalitica. Secondo Bollas la possibilità di far esistere l’esperienza dell’inconscio dipende dall’ascolto che viene rivolto alla catena di idee che prendono corpo nel discorso del paziente attraverso le libere associazioni.
Il tempo delle libere associazioni
L’identificazione percettiva implica anche una modalità temporale dell’ascolto clinico, Bollas invita infatti a non precipitarsi nell’attribuire un significato alle parole o alle interazioni del paziente. La messa tra parentesi dell’identificazione percettiva presuppone una fenomenologia dell’incontro in cui non viene subito proiettato un significato nel significante.
L’identificazione percettiva richiede un tempo necessario affinché le parole del paziente siano in grado di dipanare nel corso della seduta ciò che caratterizza la sua identità narrativa, affettiva e addirittura anche il carattere di quella singola seduta. In tal modo anche il sapere dell’analista viene messo tra parentesi perché viene evitata la fretta indotta dai significati già prestabiliti dalla teoria.
L’identificazione percettiva è un concetto che invita il clinico a non precipitarsi nella proiezione del suo sapere e dei suoi vissuti emotivi all’interno della seduta.
Bollas non intende sottovalutare la dimensione intersoggettiva dell’incontro o l’impatto che può avere la presenza dell’analista sul paziente. Bollas vuole evidenziare quanto a volte un analista corra il rischio di entrare troppo presto in interazione con il paziente senza essere riuscito a percepire le libere associazioni del paziente.
Bollas ribadisce che “l’identificazione percettiva si basa sul presupposto che il Sé e l’oggetto non sono la stessa cosa e che la differenza dell’oggetto è fondamentale per il Sé proprio a causa del suo essere separato e distinto” (p. 81).
Nel corso di una seduta è importante che il paziente abbia sufficiente tempo a disposizione per costruire un discorso attraverso cui rivelare gli schemi del suo pensiero e per articolare i diversi livelli e le diverse dimensioni del suo carattere proprio mentre sta parlando. E poi ci vuole un certo tempo per fare in modo che ciò che si fa sentire emotivamente possa arrivare a dirsi o infrangersi nell’impossibilità di essere detto.
Estetica e relazione
L’identificazione percettiva mostra una modalità estetica di ascoltare e incontrare l’Altro. Si tratta di una modalità estetica perché richiama quel processo relazionale che avviene in ogni nostro incontro con un’opera d’arte.
Ciò che noi proiettiamo in un testo letterario o in un’opera d’arte non esaurisce l’integrità e la verità del testo o dell’opera.
Tuttavia sappiamo quanto sia importante rivolgersi a un’opera attraverso una forma di immaginazione che sollecita l’intreccio tra l’alterità dell’opera e la tessitura intima del nostro mondo psichico e corporeo. Se però ci basiamo soltanto sulla proiezione rischiamo di trattare l’Altro semplicemente come un “gabinetto psichico” (p. 82).
L’identificazione percettiva va anche distinta dall’identificazione introiettiva perché non consiste con il prendere dentro di sé l’oggetto.
L’identificazione percettiva non consiste né nel mettere qualcosa nell’oggetto né nell’estrarre qualcosa dall’oggetto, ma semplicemente nella capacità di coglierne le qualità.
Ovviamente, il concetto di identificazione percettiva non serve per idealizzare l’empatia dell’incontro, come se si trattasse di un processo psichico puro. Nei fatti l’identificazione percettiva si intreccia inevitabilmente con l’identificazione proiettiva e con quella introiettiva e può avvenire solo in quei momenti in cui si indugia in presenza dell’Altro, affinché la jouissance della differenza consenta “alla base d’amore di questa forma di conoscenza di diventare efficace” (p. 82).
Per qualche spunto in più guarda questo video sulla logica del fantasma.