Disforia borderline e “lalangue”
La clinica borderline mostra la difficoltà di avviare la concatenazione dei significanti e mette in primo piano la dimensione della lalangue.
CLINICA BORDERLINE. La centralità della lalangue non è importante solo nella cura delle nevrosi. Anzi, è soprattutto nel confronto con la clinica borderline che la dimensione dell’Uno-tutto-solo è in risalto sin dall’inizio della cura.
Nella clinica del vuoto il sintomo si presenta come la manifestazione di un Uno-tutto-solo che rimane refrattario al trattamento dell’Altro.
I nuovi sintomi mostrano il nucleo irriducibile di ogni sintomo, quell’insistenza del Reale rispetto a cui ogni curante si pone la questione di come far sorgere una possibile risposta soggettiva.
L’eccesso pulsionale dei cosiddetti pazienti difficili mette in evidenza una dimensione dell’Uno che non risulta clinicamente comprensibile come il ritorno del rimosso.
Il Reale pulsionale delle forme della psicopatologia contemporanea ci indica una questione clinica che esclude il riferimento alla dialettica soggetto-Altro, per lasciar emergere una “fissa erranza” che non partecipa e non è ancora riferita ad alcun legame.
Da questo punto di vista possiamo concettualizzare la disregolazione emotiva del borderline come una stabile erranza (come l’erranza dell’Uno-tutto-solo), come una dispersione del senso e una disarticolazione dei vissuti.
UMORE DISFORICO. Nell’esperienza soggettiva del borderline l’atmosfera rarefatta e insopportabile dell’umore disforico innesca una sequenza (tensione, irritazione e spinta) che sfocia nella rabbia, coinvolgendo così l’Altro in una serie di eventi relazionali che finiscono per sfiancare paziente e terapeuta.
Se diamo per scontata la presenza di un rapporto dialettico tra soggetto e Altro, rischiamo di leggere le provocazioni del borderline soltanto come rivendicazioni di un’eccezione alla regola che, secondo il paziente, l’Altro dovrebbe riconoscere.
Nell’ottica della lalangue la sequenza disforica corrisponde invece al balbettio del soggetto per costruire un Altro.
Nella cura dei pazienti borderline è importante avviare un movimento relazionale attraverso cui inventarsi un Altro, un Altro in grado di dare una trama al vissuto traumatico che riecheggia nell’umore disforico.
Dobbiamo leggere allora le turbolenze borderline al di là della dialettica soggetto-Altro, perché l’Altro del borderline non è strutturato.
BORDERLINE E ISTERICO. Il Reale della psicopatologia borderline pone in risalto non il rapporto con l’Altro, ma innanzitutto il “non-rapporto” con l’Altro.
Come ci fa notare anche Christopher Bollas: “Questa dimensione rende il compito dell’analista quanto mai complicato. L’altro del borderline è la personificazione del vero e proprio tumulto che egli stesso crea, e questa caotica esperienza del Sé dimostra l’assenza di comportamenti di autoregolazione. Il borderline non presta attenzione al tempo, non sa che cosa sta accadendo durante la settimana e non pianifica il futuro. Le bollette da pagare si accumulano, le richieste della normale vita quotidiana (occuparsi della casa, comprare le divise scolastiche, provvedere alla manutenzione dell’automobile) non sono previste e nulla viene organizzato in anticipo. Se un isterico si comportasse nello stesso modo, sarebbe generalmente guidato da uno scopo dinamico inconscio: il desiderio di rimanere bambino in un mondo di adulti. Gli isterici hanno tutte le capacità necessarie all’autoregolazione, ma la gioia di essere accuditi produce un piacere troppo grande per perdere tempo con la routine della quotidianità. Essi ricercano, invece, una forma di partnership metafisica con gli altri, in un mondo che si suppone trascenda la corporeità e le realtà materiali della vita. Il borderline non si propone questo scopo. L’autoregolazione non si verifica mai e le cose pratiche della vita sono messe da parte come se non avessero alcun significato” [C. Bollas (2021), Tre caratteri. Narcisista, borderline, maniaco-depressivo, trad. it. di F. Del Corno, Cortina, Milano 2022, pp. 75-76].
SCIAME BORDERLINE. La disforia del borderline ci mostra il precipitato asemantico e dispersivo di una trasmissione intergenerazionale dove l’Altro è stato prevalentemente un “non-tutto”, un “non-tutto” che non ha permesso all’Uno-tutto-solo di esistere come movimento soggettivo in grado di inventare l’Altro.
Nella cura dei pazienti borderline non bisognerà rispondere all’Uno-tutto-solo dando per scontata l’esistenza di un Altro strutturato.
Bisogna innanzitutto avviare un percorso che riabiliti il rapporto con ciò che rimane fuori-rapporto. La cura dei nuovi sintomi, quando il soggetto funziona secondo la logica dello sciame, può risultare efficace solo se coinvolge il paziente in un processo che parte dal “non-tutto” per consentire all’Uno-tutto-solo di incamminarsi nella costruzione dell’Altro.
Ecco perché nella cura del borderline l’analista non fa il sembiante dell’oggetto a, ma si propone semmai come quel compagno di viaggio che insieme al soggetto va verso l’Altro, partendo proprio da lì, da quel trauma in cui “c’è dell’Uno” senza l’Altro.