Mentalizzazione e discorso dell'Altro
Le parole non possono tradurre del tutto la nostra esperienza soggettiva e non possono trasmetterla integralmente alle altre persone. Per tal ragione quando ci troviamo di fronte alle parole degli altri, la comprensione che possiamo avere delle loro intenzioni può avvenire solo attraverso dei processi inferenziali.
Solo quando le parole sembrano rispecchiare in maniera fedele le intenzioni comunicative di chi le pronuncia possiamo compiere quella che in linguistica viene definita un’“interpretazione letterale”, ma il più delle volte siamo chiamati ad attivare una serie di processi inferenziali che provano a colmare la frattura tra le parole e le intenzioni.
Ora, la mentalizzazione riguarda sia la comprensione della nostra esperienza soggettiva sia la possibilità di interpretare l’atteggiamento intenzionale che gli altri ci trasmettono attraverso le loro azioni comunicative.
La mentalizzazione si configura come quella funzione psicologica che consente “di interpretare il proprio e altrui comportamento in termini di stati mentali intenzionali” [A. Colli, Il desiderio di essere capiti. Rotture, mentalizzazione, intersoggettività, Raffaello Cortina, Milano 2024, p. 14].
La mentalizzazione istituisce le condizioni di possibilità per una connessione simbolica tra il soggetto e l’Altro. Da questo punto di vista possiamo considerare la mentalizzazione, che negli studi iniziali di Fonagy e Target veniva indicata prevalentemente come “funzione riflessiva”, come il presupposto per il transito dallo sciame al discorso dell’Altro.
La mentalizzazione è quel processo interpretativo che collega le parole e le intenzioni, i significanti con le spinte motivazionali e relazionali: permette di costruire una interpretazione del desiderio dell’Altro nei confronti del soggetto e allo stesso tempo permette al soggetto di percepire la differenza tra il desiderio dell’Altro e il proprio desiderio.
Attraverso la mentalizzazione il soggetto entra in contatto con gli stati mentali dell’Altro ed è al contempo in grado di distinguerli dai propri.
Ecco perché possiamo trovare un’analogia tra il costrutto della mentalizzazione e quello di discorso dell’Altro: in entrambi i casi il soggetto entra in una relazione simbolica con l’Altro e a partire da questa relazione intersoggettiva ha l’occasione per sperimentare la differenza dei propri stati interni rispetto a quelli dell’Altro. Nel processo psicologico e relazionale della mentalizzazione – la mentalizzazione è un processo relazionale, infatti è notevolmente condizionata dal campo relazionale in cui avviene – il soggetto entra in rapporto simbolico con l’Altro e grazie a questo rapporto può istituire una lettura della propria esperienza singolare.
A questo proposito possiamo riprendere la serie di formulazioni teoriche sui processi di alienazione e separazione. L’alienazione inserisce il soggetto nel campo relazionale istituito dalla dimensione del linguaggio, l’alienazione introduce il soggetto nel discorso dell’Altro. E la separazione apre l’occasione per il soggetto di posizionarsi e differenziarsi rispetto al discorso dell’Altro.
Nella clinica della nevrosi osserviamo che il processo di separazione avviene solo parzialmente, perché l’interpretazione che il soggetto costruisce a proposito delle intenzioni desideranti dell’Altro non è fondata sulla possibile co-esistenza del desiderio dell’Altro e del desiderio del soggetto.
L’interpretazione del nevrotico, che si stabilizza in ciò che viene indicato con il concetto di fantasma, non apre alla possibilità di una sintonizzazione intersoggettiva dove si sperimenta una vera intimità con l’Altro.
Gli studiosi della social cognition - ripresi nel lavoro di Colli (2024, p. 24) - indicano la creazione di questi stati mentali di connessione come "we-mode".
E in effetti si tratta della possibilità della nascita di una dimensione intersoggettiva che va al di là dell’io e del tu. Potremmo aggiungere che dal punto di vista lacaniano negli stati we-mode la “sensazione di comprensione e sicurezza” si realizza sulla base delle vibrazioni della lalangue, cioè a partire da una sintonizzazione tra parlesseri.
Si tratta di una sintonizzazione che avviene non solo grazie alle opportunità simboliche offerte dalle interpretazioni delle intenzioni. La sintonizzazione delle rispettive vibrazioni della lalangue si fonda innanzitutto su un atto di fiducia. Allo stesso tempo però va notato che questo atto di fiducia non nasce dal niente perché dipende notevolmente del campo relazionale costruito dal discorso, ma chiamiamo in causa la dimensione dell’atto perché si realizza solo se il soggetto lo compie, solo se avviene una scelta-atto che non può trovare garanzia in nessun Altro discorso.
Per qualche spunto in più guarda questo video su lalangue, relazione e godimento: