Metafora e rettifica dell’Altro nella clinica borderline
Nel borderline avviene uno spostamento continuo del senso, uno spostamento incessante che non trova pace in nessuna condensazione.
Se utilizziamo la linguistica strutturale di Jakobson, così come viene ripresa da Lacan, allora possiamo dire che nella clinica borderline osserviamo una fuga metonimica del senso che non trova mai ormeggio in nessun significato metaforico.
METAFORA E MENTALIZZAZIONE. La metafora è quella figura retorica che dà al discorso la possibilità di sedimentare il senso in un’immagine, in una formula che, per il suo alto valore espressivo, diventa paradigmatica. La metafora è un paradigma che consente di estrarre del senso da una situazione o da più situazioni che appaiono confuse e scollegate. Grazie a una metafora due o più elementi tra loro eterogenei possono essere raggruppati perché vengono accomunati da un unico filo conduttore.
Dire quindi che nel borderline non osserviamo l’incidenza del funzionamento metaforico del linguaggio, significa che nel borderline manca la capacità di costruire una trama narrativa che vada oltre il resoconto, molto spesso drammatico, degli eventi che ha vissuto durante la sua vita o nei giorni che sono trascorsi dall’ultima seduta. Questa difficoltà soggettiva del borderline viene indicata nell’ambito della letteratura psicopatologica come un deficit della funzione riflessiva, della mentalizzazione o della metacognizione: si tratta di termini diversi che vengono utilizzati da diverse scuole di pensiero “psi” e centrano tutti l’attenzione sulla tendenza borderline a funzionare su un regime di senso che, seguendo il pensiero di Bottiroli, potremmo definire "confusivo”.
La questione che si pone nella cura del borderline nel riguarda dunque l’attivazione di un modo di far funzionare la parola del paziente che sia il più possibile metaforico, e nel caso in cui il paziente non riesce a farlo da solo sarà opportuno che il terapeuta lo sostenga, non per sostituirsi al paziente ma per dargli occasione di vedere un Altro che traduce i suoi vissuti traumatici in immagini e parole che permettono di stare di fronte al Reale del trauma senza esserne travolti.
RETTIFICA DELL’ALTRO. È in tal senso che possiamo dare corpo nel vivo della cura al concetto di rettifica dell’Altro indicato da Recalcati. Invece di essere presenti per il paziente come sembianti del resto del discorso dell’Altro, come sarebbe opportuno fare nella conduzione della cura delle nevrosi, si tratta di far presente un Altro che svolge la funzione di traduttore del grido in domanda.
Se nella nevrosi l’obiettivo della cura è mostrare al paziente il carattere fantasmatico del suo rapporto con l’Altro, nella cura del borderline è importante che il terapeuta dia testimonianza dell’esistenza di un Altro che umanizza la scabrosità del Reale traumatico, un Reale che annienta, per esempio, la possibilità di stabilire la differenza simbolica tra tenerezza ed erotismo.
In termini più lacaniani potremmo dire che nella cura della nevrosi si tratta di far fare esperienza al paziente dell’inesistenza dell’Altro, nella clinica borderline bisogna invece far esistere un nuovo Altro, un Altro non traumatico. Sta qui la differenza tra la rettifica soggettiva e la rettifica dell’Altro.