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Il borderline si trova senza il supporto della funzione metaforica per interrogare la turbolenza emotiva dell’Altro.

Trauma, "fallo" e Immaginario: psicosi e sciame borderline

La particolarità dello sciame borderline consiste nel fatto che il soggetto si trova in una posizione immaginaria, ma questa posizione non coincide con quella del fallo immaginario.

Allo stesso tempo il soggetto borderline non ha la possibilità di appoggiarsi alla dimensione del discorso che potrebbe aprirsi grazie al rimando da un significante a un altro significante (S1 → S2).

La chiave di lettura che può consentirci di comprendere la prevalenza dell’Immaginario nel funzionamento borderline possiamo trovarla attraverso la logica della metafora e della metonimia, così come viene proposta da Lacan negli Scritti e nei Seminari degli anni Cinquanta del secolo scorso.

Metafora e metonimia

Con la metonimia e la metafora Lacan cerca di trovare due operazioni che gli permettano di render conto del lavoro dell’inconscio: la prima corrisponde alla successione dei significanti, mentre la seconda alla sostituzione di un significante con un altro significante.

Gli studi della linguistica contemporanea hanno superato ed elaborato in modo più complesso questa concettualizzazione della metafora, tuttavia – sebbene sia una concezione ridotta ed elementare – rimane ancora utile per cogliere la struttura di alcuni fenomeni che riscontriamo nella pratica clinica.

Se nella metonimia i significanti si combinano sulla base di rapporti sintagmatici, ossia sulla sequenzialità e contiguità, nella metafora un significante prende il posto di un altro in virtù di un rapporto associativo che seleziona gli elementi linguistici per somiglianza o analogia.

Il fatto che la metonimia faccia scivolare l’effetto di significazione da un significante all’altro produce un “poco di senso”, poiché un significante rimanda sempre a un altro senza però trovare mai un punto di condensazione del senso. Invece la metafora con il suo meccanismo di sostituzione mostra la modalità secondo cui si produce un “più di senso”, ossia un significante riassume su di sé gli effetti di significazione della catena. Ciò che mostra il carattere peculiare di questa operazione è il Nome del Padre.

Nome del Padre

Il Nome del Padre si configura come un significante che interviene secondo la logica della metafora. Ecco perché nell’insegnamento di Lacan (degli anni Cinquanta) la funzione del Nome del Padre viene indicata come “metafora paterna”:

il significante del Nome del Padre viene sostituito al significante del Desiderio della Madre producendo un effetto di significazione che introduce il soggetto nell’altrove del desiderio.

Il Nome del Padre funziona come un operatore Terzo tra il bambino e la madre perché permette di simbolizzare sia l’intenzionalità relazionale della madre nei confronti del bambino sia l’altrove situato oltre il bambino.

All’inizio il bambino non ha nessun codice interpretativo esterno attraverso cui decifrare il desiderio della madre e il Nome del Padre gli dà l’accesso a questo codice esterno. Entra qui in gioco il significante del fallo:

il fallo è quel significante attraverso cui il Nome del Padre interpreta la cifra enigmatica del desiderio della madre.

È importante fare attenzione più alla logica relazionale che viene indicata dal significante del fallo che alle immagini che può evocare.

Con il concetto del “significante del fallo” viene indicato quell’altrove che conduce la madre al di là della relazione con il bambino.

Ora, nella psicosi e nella perversione questo altrove non fa ingresso nel campo relazionale tra il bambino (o la bambina) e la madre. Nella clinica borderline invece l’altrove è presente, ma non è suscettibile di metaforizzazione perché l’Altro del borderline non segue la bussola del desiderio, ma è caratterizzato da una turbolenza traumatica che prende il soggetto in ostaggio.

Nel Quinto principio Paul Williams racconta così il carattere violento e capriccioso della madre: “Sembrava che le esplosioni di rabbia fossero cosmiche, come un’esplosione nucleare che frammentava tutta la vita circostante. Quando si verificavano, tutto cambiava: scomparivano il pensiero, la continuità e il legame. Subentrava il terrore, la paralisi e l’allerta, in attesa dell’attacco successivo che inevitabilmente arrivava quando meno te lo aspettavi” [P. Williams (2010), Il quinto principio, a cura di P. Capozzi, Mimesis, Milano-Udine 2014, pp. 22-23].

Sempre nel Quinto principio di Paul Williams troviamo una descrizione del rapporto con il padre che mostra questa alterazione della funzione paterna. In questo caso il padre invece di orientare il soggetto al di là dell’essere oggetto della capricciosità violenta della madre, indebolisce ancor di più, se non addirittura annichilisce, la spinta vitale del figlio: “Quando parlavo, mi liquidava come ‘melodrammatico’. Con ciò intendeva che tutto quello che dicevo, specialmente se ero entusiasta, era l’inutile vanteria di un tronfio esibizionista, di un presuntuoso cocco di mamma, di un pallone gonfiato. Presi molto sul serio questo giudizio, ma non capii bene la sua origine se non molto più tardi, da adulto, quando intuii che questo era anche il suo modo di considerare il comportamento di mia madre. […] Le sue accuse di falsità per tutto quel che dicevo avevano un effetto confondente e demoralizzante sull’opinione di me stesso e sul mio modo di pensare. Credevo che qualunque idea formulavo fosse, de facto, fasulla – senza significato. Quello che pensavo o sentivo reale e vero era solo uno sproloquio” [P. Williams (2010), Il quinto principio, cit., p. 22].

In questo snodo possiamo cogliere la specifica debolezza della metafora paterna nella clinica borderline: l’interdizione operata dal Terzo si è realizzata e quindi non è stata forclusa la funzione del Nome del Padre in quanto operatore che decompleta la pienezza immaginaria; tuttavia, il Nome del Padre non ha trasmesso al soggetto una bussola simbolica e identificatoria per assumere una posizione relazionale nei confronti della mancanza dell’Altro.

Significazione fallica

Abbiamo visto che il Nome del Padre, oltre a svolgere la funzione di interdizione, introduce la dimensione della metafora nel momento in cui rende il desiderio dell’Altro materno interrogabile e suscettibile di una costruzione fantasmatica.

La logica della metafora ci permette di cogliere non solo la funzione del Nome del Padre, ma anche lo statuto simbolico del significante del fallo.

Se opponiamo la funzione della metafora a quella della metonimia, dato che secondo Lacan la metafora equivale alla condensazione e la metonimia allo spostamento, allora possiamo comprendere perché il fallo possa essere considerato come quel significante in grado di condensare la fuga metonimica del desiderio. Quando il fallo funziona come un significante riesce a fermare la dimensione metonimica del desiderio. E in questo frangente è importante ricordarsi che Lacan definiva il desiderio come metonimia della mancanza d’essere, cioè come spinta incessante che sposta la mancanza sempre in avanti.

Quindi nell’insegnamento di Lacan il movimento del desiderio segue un andamento metonimico che rende permanente l’esperienza della mancanza; invece, il significante del fallo prova a condensare semanticamente e a fissare libidicamente lo spostamento del desiderio.

La funzione della metafora si rivela però del tutto insufficiente nel fare i conti con l’esperienza del Reale.

Di fronte al Reale, che si fa presente con l’angoscia, le potenzialità significanti del fallo risultano del tutto evanescenti, l’angoscia mostra infatti l’insufficienza del significante nel condensare in una rappresentazione l’esperienza del Reale.

Le pretese riassuntive e rappresentative del significante del fallo si infrangono nel confronto con l’esperienza dell’angoscia.

È per tal ragione che Lacan, al posto del significante del fallo, inizia a concettualizzare la significazione fallica, che è una significazione di castrazione. Attraverso la concettualizzazione della significazione fallica avviene il rovesciamento di ogni modello di completezza immaginaria o simbolica che aveva accompagnato il fallo (fallo immaginario e fallo significante).

Nel confronto con il Reale il fallo perde la sua presunzione di significante in grado di condensare gli effetti di significato e diventa piuttosto l’indicatore della mancanza. Oltre al significante del fallo, il Nome del Padre produce dunque la significazione fallica.

Il prodotto finale dell’intervento del Nome del Padre consiste nell’indicare la presenza della mancanza.

In primo luogo, si tratta della mancanza del fallo immaginario, cioè non esiste l’oggetto in grado di colmare la castrazione materna. In secondo luogo, viene indicata la mancanza di condensazione della “fuga metonimica” del desiderio, cioè la dimensione del significante risulta strutturalmente insufficiente nel rappresentare l’esperienza del Reale.

Borderline e psicosi

Nella pratica clinica con i pazienti borderline la questione della significazione fallica non arriva a porsi perché il soggetto è ancora alle prese con la mancata operatività dell’altrove indicato dal significante del fallo. Da questo punto di vista il borderline potrebbe sembrare in una condizione analoga a quella dello psicotico.

Bisogna però considerare che nella psicosi e nel borderline la causa del deficit simbolico del significante del fallo deriva da due meccanismi psicopatologici diversi.

Nella psicosi il deficit del simbolico scaturisce dalla forclusione del Nome del Padre – oltre alla forclusione del Nome del Padre, nella clinica delle psicosi va considerata anche l’incidenza della forclusione del sentimento della vita –, mentre nella clinica borderline la carenza metaforica del simbolico deriva dalla dissociazione, cioè dalla disaggregazione dei significanti.

Nella psicosi è compromesso l’abbinamento tra significante e significato, però il soggetto è in grado di strutturare un discorso.

Per esempio, il paziente paranoico, che è in grado di strutturare un discorso sulla persecutorietà dell’Altro, rappresenta uno dei paradigmi clinici della psicosi.

Invece nella clinica borderline non osserviamo la problematica dell’abbinamento tra significante e significato, ma il blocco del rimando da un significante (S1) a un altro significante (S2), quindi la difficoltà del borderline consiste nel dare una trama discorsiva a dei significanti (traumatici) che sono disaggregati (dissociati).

Lo psicotico riesce a costruire una trama, seppur delirante, ma non può abitare il common sense perché è forclusa la possibilità di abbinare significante e significato sulla base di un discorso prestabilito. Il borderline invece non ha il problema di essere fuori da un discorso comune, però non riesce a imprimere una trama discorsiva in grado di collegare i diversi significanti che hanno costellato il suo sviluppo traumatico.

Turbolenza e posizione immaginaria

L’Altro del borderline è così emotivamente disregolato che sollecita il soggetto fino al punto di paralizzare le sue capacità simboliche nel sostituire (o concatenare) un S1 con S2 per avviare una trama, una trama in grado di dare senso all’assurdità traumatica trasmessa dall’Altro. È in questo frangente che nel borderline la funzione della metafora non è operativa.

Il borderline non è ostaggio dell’Altro perché rimane nella condizione di fallo immaginario, ma perché si trova senza il supporto della funzione metaforica per interrogare la turbolenza emotiva dell’Altro.

La debolezza dell’intervento del Nome del Padre nella clinica borderline riguarda dunque la funzione della metafora: il soggetto non viene sostenuto nella capacità di interrogare (e fantasmatizzare) la mancanza dell’Altro.

Inoltre il borderline, non riuscendo ad avviare un discorso, rimane privo di una bussola identificatoria di tipo simbolico. Ecco dunque la proliferazione e le oscillazioni delle identificazioni immaginarie del borderline che vengono descritte nella clinica psicodinamica come diffusione dell’identità o stabile instabilità. 

L'instabilità delle identificazioni

Nella clinica borderline la prevalenza della relazione immaginaria ha delle notevoli ripercussioni sulle possibilità identificatorie del soggetto. Anche nella clinica della nevrosi possiamo notare la tendenza del soggetto a essere il tappo immaginario della mancanza dell’Altro, tuttavia nella nevrosi il soggetto sperimenta l’impossibilità a identificarsi con il fallo immaginario. Questa impossibilità favorisce il passaggio dalla dinamica immaginaria al discorso simbolico e produce degli effetti sull’identificazione del soggetto.

La posizione del fallo immaginario coincide con un’amplificazione narcisistica dell’identificazione del soggetto, questo tipo di identificazione ambisce a una sorta di pienezza ego-riferita, invece l’esperienza della mancanza sposta il soggetto sul piano Simbolico, un piano in cui viene rappresentato da un significante per un altro significante.

Quindi il passaggio dalla dinamica immaginaria-narcisistica del fallo al discorso aperto dalla catena dei significanti coincide con un transito dalla pienezza alla mancanza che coinvolge anche le possibilità identificatorie del soggetto.

Se l’identificazione narcisistica al fallo immaginario consente l’illusione di raggiungere la pienezza attraverso una relazione speculare con gli altri, l’identificazione simbolica invece mostra che il proprio inserimento nella trama dei significanti socialmente condivisi non esaurisce le possibilità di rappresentazione della propria identità.

L’alienazione simbolica del soggetto genera un resto, che è quell’oggetto piccolo a che viene prodotto dal discorso del padrone.

L’identificazione simbolica dà un posto al soggetto nella relazione con gli altri e gli permette di superare il dualismo speculare-narcisistico che viene invece alimentato dalla posizione di fallo immaginario. Allo stesso tempo attraverso la produzione dell’oggetto piccolo a qualcosa del plusgodere del soggetto non trova ospitalità in questa identificazione simbolica.

Posizione immaginaria e rettifica dell'Altro

Il paziente borderline si trova in una posizione immaginaria rispetto al suo Altro disregolato, ma non è nella posizione di fallo immaginario. Il soggetto borderline non ha neanche vissuto l’illusione di essere ciò che colma la mancanza dell’Altro, ma anzi è stato inopportunamente e precocemente accusato di essere ciò che avrebbe dovuto colmare la mancanza dell’Altro e che invece non è stato in grado di essere. Nell’esperienza dei pazienti borderline questo è un dato che riscontriamo ripetutamente perché l’Altro del borderline ha riversato sul soggetto la responsabilità della sua mancanza. L’Altro del borderline addebita al soggetto la causa della sua mancanza e, soprattutto, delle sue turbolenze emotive, turbolenze con cui investe e inonda il vissuto del soggetto. Il soggetto borderline è assoggettato all’Altro non in quanto fallo immaginario, ma in quanto oggetto traumatizzato dall’Altro.

Troviamo ancora nel Quinto principio di Paul Williams una descrizione di questa dinamica relazionale con un Altro traumatizzante: “Arrivai a pensare che fosse la sorpresa a renderli particolarmente efficaci, ma da adulto compresi che quel che mi sembrava improvvisazione era, di fatto, un’illusione. Gli attacchi avevano una logica completamente diversa. Mia madre aveva un sesto senso per colpirci quando eravamo spiazzati, o ci sentivamo più tranquilli o ci eravamo divertiti lontano da lei e da casa. Erano questi i momenti che innescavano le esplosioni di violenza. Senza motivo si scatenava una scarica di insulti che sconvolgeva tutto, lasciandomi con la sensazione che qualunque cosa pensavo di aver vissuto non fosse reale. […] Capimmo presto il messaggio di non essere desiderati. Se ci capitava di dimenticarlo, ci veniva chiarito in modo cristallino che eravamo dannosi, che inquinavamo e rovinavamo la sua vita. A quattro anni capii che non dovevo più chiederle niente e che, appena possibile, dovevo rendermi invisibile. Ero sempre convinto che la responsabilità della situazione disastrosa con mia madre fosse mia. Anche se costretto a diventare forzatamente indipendente, provavo la profonda vergogna di essere un fallito come figlio” [P. Williams (2010), Il quinto principio, cit., p. 23].

Sul piano Simbolico il soggetto non ha avuto l’occasione per interrogarsi sul significante del fallo, cioè su quell’oggetto situato altrove che sarebbe in grado di colmare la mancanza dell’Altro. Piuttosto, il più delle volte, nelle storie borderline si verifica che l’oggetto che placherebbe la turbolenza dell’Altro non ha una valenza simbolica perché svolge soltanto una funzione di appagamento narcisistico o incestuale.

Nel lavoro clinico della rettifica dell’Altro occorre allora introdurre (scoprire, costruire) delle coordinate simboliche per consentire al borderline di leggere la relazione con l’Altro.

Perché durante la sua storia il soggetto borderline, nella relazione con un Altro disregolato che lo ha reso ostaggio della propria turbolenza, non ha avuto la possibilità di prendere una posizione simbolica, cioè la posizione di chi è in grado di interpretare il trauma come un evento complesso e conflittuale. Si tratta di un passaggio cruciale perché è solo attraverso la traduzione discorsiva dell’assurdità del trauma che il soggetto potrà assumere l’eredità emotiva del trauma come il marchio di apertura di un nuovo destino.

 

Per qualche spunto in più guarda questo video sullo sciame borderline.

 

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Per approfondire, tra i libri di Nicolò Terminio, si rimanda a Lo sciame borderline. Trauma, disforia e dissociazione, pref. di M. Recalcati, Raffaello Cortina editore, Milano 2024.
 
Psicoterapeuta Torino
Nicolò Terminio, psicoterapeuta e dottore di ricerca, lavora come psicoanalista a Torino.
La pratica psicoanalitica di Nicolò è caratterizzata dal confronto costante con la ricerca scientifica più aggiornata.
Allo stesso tempo dedica una particolare attenzione alla dimensione creativa del soggetto.
I suoi ambiti clinici e di ricerca riguardano la cura dei nuovi sintomi (ansia, attacchi di panico e depressione; anoressia, bulimia e obesità; gioco d’azzardo patologico e nuove dipendenze) e in particolare la clinica borderline.

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