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Il linguaggio costituisce lo sfondo antropologico di ogni struttura relazionale.

Rettifica dell'Altro, sciame borderline e olofrase alessitimica

Il concetto di rettifica dell’Altro, coniato da Recalcati, pone l’accento sul campo relazionale da instaurare nella cura dei nuovi sintomi.

Quando Recalcati introduce questo concetto fa riferimento all’incontro con le pazienti anoressiche e bulimiche e sottolinea l’importanza per il terapeuta di configurarsi come un nuovo Altro, un Altro cioè che non impieghi il suo sapere o le sue buone intenzioni per riempire, aggiustare o etichettare attraverso interpretazioni oracolari il vissuto delle pazienti.

La rettifica dell’Altro rende possibile l’avvio di un Altro discorso perché consente al paziente di sentirsi accolto innanzitutto come soggetto e non come oggetto della cura.

Questo può sembrare un aspetto scontato per ogni approccio terapeutico e per ogni situazione clinica, però è importante ammettere che soprattutto nella clinica del vuoto i terapeuti o i vari operatori della cura possono essere portati a instaurare una dimensione relazionale in cui il paziente può diventare o l’oggetto di un sostegno di tipo supportivo o l’oggetto di un’interpretazione illativa. In entrambi i casi il paziente non viene trattato con un soggetto protagonista della cura ma come un oggetto su cui il terapeuta cerca di produrre dei cambiamenti attraverso una sorta di maternage e iperdisponibilità o tramite un approccio più direttivo che può manifestarsi sotto forma di consigli o spiegazioni causali del disagio e della condizione del paziente.

Se riprendiamo la teoria dei discorsi di Lacan, allora possiamo rintracciare in questi due atteggiamenti (supportivo ed espressivo) una deriva del discorso del padrone e il giro a vuoto del sapere del discorso dell’Università. In entrambi i casi la singolarità del soggetto non viene messa in posizione di agente né in posizione di verità, ma è soltanto qualcosa che cerca di essere riportata in un ambito generale (discorso dell’Università) o che nel tentativo di essere gestito viene inevitabilmente scartato (discorso del padrone).

In queste situazioni il paziente, anche se è in grado di riconoscere la benevolenza e la disponibilità o il sapere e la competenza tecnica del terapeuta, nei fatti non si sente ascoltato e non sente che il terapeuta stia effettivamente rispondendo alla sua domanda di aiuto.

Più spesso succede, soprattutto nella clinica borderline, che i pazienti rimproverino aspramente i terapeuti di non essere sufficientemente disponibili, denunciano infatti l’insufficienza della disponibilità del terapeuta lasciando intendere che se ci fosse una maggiore disponibilità i loro problemi cesserebbero di farli soffrire, oppure i pazienti mettono sotto scacco il sapere del terapeuta considerandolo come uno schema teorico costruito a tavolino ma che ha poca rilevanza nel rispondere effettivamente alla particolarità della loro situazione.

Tutto ciò si manifesta in modo più concitato e incalzante quando il paziente, oltre a lamentarsi e richiamare l’attenzione, fa balenare tra le sue parole o lascia intendere che è in procinto di compiere un agito che potrebbe avere delle conseguenze gravi per sé stesso o per gli altri. In tali frangenti il clinico e gli operatori della cura sono messi ancor di più sotto pressione e possono provare una certa quota di angoscia che invece di farli riflettere clinicamente sulla situazione può portarli a riattivare il proprio fantasma inconscio cercando quindi di gestire, categorizzare o mettere in discussione il vissuto del paziente.

Quando invece il vuoto dei pazienti si manifesta non come forma di disregolazione emotiva e turbolenza relazionale ma come un appiattimento del tono emotivo e una chiusura relazionale mascherata da apparente cortesia, allora la sollecitudine e la tendenza riparatrice del terapeuta viene messa in discussione in una forma più passiva ma non meno problematica perché il vuoto si espande nell'atmosfera della seduta come glaciazione siderale del discorso.

Nel libro Lo sciame borderline ho dedicato molte pagine per illustrare questi due versanti della clinica del vuoto che non possono essere considerati attraverso il paradigma clinico della psicosi. Esiste infatti una dimensione della clinica del vuoto che non rimanda alla psicosi e che si manifesta o come uno sciame di significanti o attraverso l’olofrasizzazione dei significanti.

SCIAME                OLOFRASE                           

S1 // S2                          S1S2

Questa prospettiva clinica, che è fondata sulla catena significante e sulle difficoltà di articolazione dei significanti, scaturisce da una visione dell’essere umano in quanto parlessere.

La dimensione del linguaggio deve essere intesa non solo come possibilità di articolazione di enunciati dotati di significato, ma anche come quella funzione che costituisce lo sfondo antropologico di ogni struttura relazionale.

E va precisato che tale funzione del linguaggio, sebbene sia strettamente aderente e discendente dall’insegnamento di Lacan, è un tema di studio e di ricerca che supera l’orizzonte della psicoanalisi e su cui si focalizzano diverse discipline che vanno dall’antropologia alla linguistica fino alla biologia e alle neuroscienze.

Perciò quando facciamo riferimento al discorso e alla difficoltà di aprire il discorso non dobbiamo limitarci a pensare alla costruzione degli enunciati, ma occorre pensare innanzitutto alla struttura dell’azione comunicativa che rende possibile la dimensione soggettiva e intersoggettiva degli esseri umani. È in questo snodo tra linguaggio, discorso e relazione con l’Altro che la psicoanalisi lacaniana-recalcatiana può incontrare i contributi più recenti che in ambito psicodinamico hanno valorizzato l’importanza della mentalizzazione nella cura dei pazienti borderline e nell’attraversamento dei momenti di rottura dell’alleanza terapeutica.

 

Per qualche spunto in più guarda questo video sullo sciame borderline.

 

disturbo borderline di personalità borderline sintomi

 

Per approfondire, tra i libri di Nicolò Terminio, si rimanda a Lo sciame borderline. Trauma, disforia e dissociazione, pref. di M. Recalcati, Raffaello Cortina editore, Milano 2024.
 
 
Psicoterapeuta Torino
Nicolò Terminio, psicoterapeuta e dottore di ricerca, lavora come psicoanalista a Torino.
La pratica psicoanalitica di Nicolò è caratterizzata dal confronto costante con la ricerca scientifica più aggiornata.
Allo stesso tempo dedica una particolare attenzione alla dimensione creativa del soggetto.
I suoi ambiti clinici e di ricerca riguardano la cura dei nuovi sintomi (ansia, attacchi di panico e depressione; anoressia, bulimia e obesità; gioco d’azzardo patologico e nuove dipendenze) e in particolare la clinica borderline.

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