Creatività e sensualità dell'inconscio
La pluralità delle teorie definisce la matrice creativa e inconscia che ci permette di entrare in risonanza con noi stessi, con l’Altro e con il mondo.
Christopher Bollas sostiene che “una teoria è un fenomeno metasensuale”, le teorie si configurano infatti come forme della percezione [Cfr. C. Bollas (2006), Cosa è la teoria?, in Il momento freudiano, Franco Angeli, Milano 2007, pp. 83-94].
Teoria e percezione
Le teorie prefigurano, prima ancora di organizzare una serie di concetti, la possibilità di diventare sensibili verso certi livelli dell’esperienza.
Le teorie vincolano la produzione concettuale, ma determinano anche la profondità e l’ampiezza della nostra percezione.
Per tal ragione Bollas esorta i clinici ad avvalersi di più teorie, perché ogni teoria permette di sintonizzarsi con una dimensione sensibile che non potrebbe essere colta attraverso un’altra teoria.
Le teorie funzionano come degli apparati sensoriali e avvalersi di più teorie consente di avere più sensi per cogliere l’esperienza di sé e dell’Altro. “In questo modo si aumenta la propria capacità percettiva, si espande la mente, si accolgono i pazienti con una saggezza che può essere ottenuta solo dopo essere passati attraverso tante differenze” (p. 93).
Dato che la teoria corrisponde a una forma di percezione, non può essere appresa solo attraverso un training specialistico in cui vengono acquisite basi concettuali e metodiche di intervento.
Inoltre, come sottolinea Bollas, per entrare in una teoria ci vuole del tempo: “la teoria freudiana del lavoro onirico è una matrice percettiva complessa e per acquisirla ci vogliono anni. Come per la teoria lacaniana del simbolico, dell’immaginario e del reale o la teoria kleiniana della mente infantile, per imparare questi modelli l’analista deve avere pazienza perché ci vuole tempo per acquisire una forma di percezione” (pp. 91-92).
Forse, quando è in gioco l’apprendimento di una forma di percezione, invece di utilizzare il verbo “acquisire” sarebbe più opportuno scegliere il verbo “entrare”. Non si tratta infatti di acquisire un sapere, ma di entrare in una forma di percezione. Ed è una forma di percezione di cui non si diventa mai padroni, perché rimane operativa a livello inconscio, anche dopo una lunga formazione psicoanalitica.
Percezione ed etica
Quando scrive della relazione tra paziente e analista Bollas fa riferimento alla “comunicazione tra inconsci” e sostiene che nel corso di una cura psicoanalitica il cambiamento avviene a livello inconscio.
Addirittura, Bollas dice che se un analista è onesto e sincero non può del tutto spiegare le sue reazioni all’incontro con il paziente, perché esisterà sempre un livello inconscio che sfuggirà alla sua consapevolezza, anche dopo molti anni di formazione analitica. “Anche se abbiamo reazioni coscienti a ciò che dicono e fanno i nostri pazienti, raramente conosciamo la nostra reazione inconscia ‘personale’. […] Per quanto frustrante sia questo fatto della vita, se bariamo – e cerchiamo di produrre notizie dall’inconscio, se non altro per poter trovare una specie di trama – neghiamo a noi stessi e ai nostri pazienti il fatto di vivere come essere inconsci” (p. 90).
L’esperienza di una analisi, anche per un analista, non apre alla coscienza tutte le vie di accesso al proprio inconscio.
Ciò non vuol dire però che l’analista non sia responsabile del suo inconscio; infatti, dire che la teoria è una forma di percezione ha una forte valenza etica e richiama la necessità, per un analista, di fare della propria pratica, après coup, un’occasione di confronto e supervisione con i colleghi e la comunità analitica. Come sottolinea Bollas: “C’è un’etica della percezione. Le teorie non sono semplicemente forme di percezione. Una volta messe in pratica diventano decisioni etiche” (p. 90).
Inconscio e coscienza
Secondo Bollas un percorso psicoanalitico, di cura e di formazione, non si esaurisce con il portare alla coscienza i contenuti dell’inconscio. Se fosse così, allora l’esito finale di una psicoanalisi farebbe presagire una sorta di bonifica dell’esperienza dell’inconscio. Per fortuna, ciò non è possibile, l’inconscio non è un luogo psichico che può essere colonizzato dall’Io cosciente, si configura piuttosto come la matrice di ogni esperienza cosciente.
Seguendo questa linea di pensiero bisogna precisare che l’inconscio non è il regno dell’istintuale o la parte indomabile delle esigenze pulsionali. L’inconscio non è privo di soggettività, esiste un soggetto dell’inconscio – come ha ben mostrato Jacques Lacan nel suo insegnamento – che travalica la padronanza dell’Io cosciente e che si manifesta come una predisposizione a percepire e a organizzare in modo implicito ciò che ci succede mentre siamo svegli e mentre sogniamo.
La comunicazione tra inconsci
Nel concepire la teoria come una forma di percezione, Bollas vuole valorizzare una funzione ulteriore della teoria. La funzione della teoria non è soltanto quello di rendere esplicito e formalizzato ciò che risulta implicito e inconscio. In una cura psicoanalitica non si tratta soltanto di transitare dalla dimensione inconscia dell’esperienza a quella cosciente.
Il rapporto tra coscienza e inconscio non esaurisce il lavoro psicoanalitico.
Quindi non è in gioco solo il rapporto tra ciò che è inconscio e ciò che può diventare cosciente, il processo che viene messo in atto nella pratica psicoanalitica non riguarda soltanto il conflitto tra i contenuti ammessi nella coscienza e quelli indesiderati che vengono invece rimossi nell’inconscio.
A questo proposito Bollas ritorna su un’affermazione di Freud che lo stesso Freud non ha sviluppato pienamente quando in uno dei suoi saggi metapsicologici dedicati all’inconscio ha accennato alla “comunicazione tra inconsci” [Cfr. S. Freud (1915), L’inconscio, in Opere, vol. 8, a cura di C.L. Musatti, Bollati Boringhieri, Torino, 1976, pp. 49-88].
In questa prospettiva il focus del lavoro psicoanalitico non trova una realizzazione completa attraverso la pratica ermeneutica dell’interpretazione. Se focalizziamo l’attenzione sulla comunicazione tra inconsci, ciò che diventa fondamentale nella relazione tra paziente e analista non è l'attività di decifrazione dell’inconscio del paziente né l’analisi del controtransfert dell’analista, ma la sintonizzazione emotiva tra paziente e analista.
Riprendendo il filo conduttore della comunicazione tra inconsci, un filo che risale a Freud e giunge fino alle elaborazioni più sofisticate di Bollas, possiamo connetterci anche con la concezione dell’inconscio di Lacan, un inconscio che non è strutturato soltanto come un linguaggio, ma è anche caratterizzato dal ritmo di uno sciame di significanti.
La logica dello sciame mostra un funzionamento dell’inconscio che non può essere decifrato e con cui occorre innanzitutto sintonizzarsi.
A questo riguardo possiamo compiere un ulteriore spostamento della nostra prospettiva e approfittare delle ricerche psicoanalitiche che integrano i contributi più aggiornati della neurobiologia interpersonale. In questo caso il lavoro teorico-clinico di Clara Mucci, che riprende il modello di Allan Schore, risulta particolarmente prezioso perché evidenzia un livello di funzionamento inconscio che non segue la logica dell’articolazione linguistica e che non richiede soltanto un lavoro di decifrazione dei contenuti rimossi [Cfr. C. Mucci (2018), Corpi borderline. Regolazione affettiva e clinica dei disturbi di personalità, Cortina, Milano 2020).
Nella cornice teorica di Clara Mucci l’inconscio strutturato come un linguaggio di cui parla Lacan può essere ricondotto al funzionamento dell’emisfero sinistro, mentre lo sciame dei significanti inconsci trova la sua base neurobiologica nell’emisfero destro.
Ricapitolando, e provando a connettere queste prospettive teoriche che vanno da Freud a Bollas verso Lacan e Mucci, possiamo sostenere che quando si parla della comunicazione tra inconsci è in gioco la sintonizzazione fra la vibrazione dello sciame emotivo del paziente e la vibrazione dello sciame emotivo del terapeuta. In termini neurobiologici possiamo dire che nella relazione terapeutica la logica dello sciame chiama in causa la sintonizzazione tra l’emisfero destro del paziente e l’emisfero destro del terapeuta.
Creatività e inconscio non rimosso
La cura psicoanalitica non si esaurisce dunque solo nella pratica dell’interpretazione, va anche considerato il lavoro dell’inconscio (non rimosso), un lavoro che non consiste solo nella decifrazione del significato inconscio dei contenuti indesiderati dalla coscienza.
Diventa fondamentale che l’inconscio si metta al lavoro come processo creativo e relazionale e non sia ridotto a un campo di forze dove vengono collocati vissuti intollerabili e idee scabrose per la coscienza morale del soggetto.
Va considerato allora, oltre all’inconscio come luogo del rimosso, anche l’altro inconscio che lo stesso Freud presentava come inconscio non rimosso.
Nella psicoanalisi contemporanea l’inconscio non rimosso viene approfondito innanzitutto per esplorare un funzionamento psichico che non segue la logica della rimozione, ma quello della dissociazione (Cfr. G. Craparo, Inconscio non rimosso. Riflessioni per una nuova prassi clinica, Franco Angeli, Milano 2018). Bollas però, nel suo breve contributo su "cos’è la teoria", non segue questi sviluppi teorici, il suo intento è piuttosto quello di illuminare la creatività dell’inconscio non rimosso, un inconscio che non è sotto l’egida della funzione di interdizione veicolata dal Nome del Padre.
L’inconscio non rimosso riguarda un livello di sintonizzazione tra il soggetto e l’Altro che non conosce ancora la funzione della articolazione del linguaggio e tuttavia è già simbolica perché fa entrare in scena la trasformazione dell’indicibile della vita psichica e corporea e la raffigurazione attraverso le immagini. Ecco perché, per cogliere la specificità creativa di questo livello del funzionamento inconscio, Bollas fa riferimento al lavoro onirico.
Il lavoro onirico
Il sogno riesce a elaborare e rappresentare una miriade di stimoli che difficilmente possono trovare raffigurabilità attraverso la sequenza ordinata del linguaggio articolato. Anzi, è la sequenza ordinata del linguaggio che, quando diventa poesia e arte, fa riecheggiare ciò che non si lascia disciplinare dalla sequenza. Tuttavia, questo livello dell'inconscio non va considerato privo di sequenze, potremmo dire che in questo caso più che le sequenze semantiche contano i ritmi e le tonalità emotive che fanno vibrare il corpo fino al punto da dare origine al desiderio di dare forma al mistero dell’inconscio.
Come scrive Bollas: “In questo caso l’inconscio è un’intelligenza della forma. Le sue capacità propriocettive ricevono dati endopsichici dal deposito dell’inconscio. Esso registra anche le esperienze ‘psichicamente preziose’ della giornata, ordinandole con il passare del tempo in una specie di anticamera pre-onirica, per poi organizzare migliaia di pensieri che arrivano dallo spazio intermedio dell’esperienza vissuta per essere sognati. La creazione del sogno non è solo una notevole realizzazione estetica, ma è la forma più sofisticata di pensiero di cui disponiamo. Un sogno può pensare centinaia di pensieri in pochi secondi con un’efficienza mozzafiato. Può pensare il passato, il presente e un futuro immaginario in una sola immagine e riesce a mettere insieme l’intera gamma degli affetti impliciti nell’esperienza del giorno, comprese tutte le linee di pensiero che si ramificano da questa esperienza” (p. 84).
L'Io inconscio e l'ombra dell'oggetto
Nella prospettiva di Bollas il lavoro onirico mette in luce una forma di percezione inconscia che Freud non ha pienamente formulato, ma che ha comunque teorizzato implicitamente nel momento in cui nell’opera L’Io e l’Es ha parlato non soltanto dell’inconscio non rimosso, ma anche del fatto che una parte dell’Io può essere inconscia [Cfr. S. Freud (1923), L’Io e l’Es, in Opere, vol. 9, a cura di C.L. Musatti, Bollati Boringhieri, Torino 1977, pp. 469-520]. E proprio a partire da una teoria dell’Io inconscio che Bollas prende le mosse per render conto della straordinaria creatività dell’inconscio non rimosso.
Bollas insiste sulla necessità di non ridurre l’inconscio non rimosso all’Es freudiano.
Se infatti l’inconscio non rimosso viene ridotto all’Es diventa una parte pulsionale originaria che in qualche modo è destinata a straripare dagli argini dell’Io cosciente o, diversamente, a essere costretta e repressa dall’Io. In tal modo l’Io si trova sempre alle prese con le spinte pulsionali e con le esigenze di adeguamento alle leggi della civiltà che vengono imposte dalla funzione del Super-Io.
Ma se anche una parte dell’Io è inconscia, allora possiamo notare – è qui il valore dell’ampliamento della nostra percezione dell’esperienza dell’inconscio offerta dalla teoria dell’Io inconscio – un processo della mente “che creativamente soddisfa sempre i nostri desideri, nei sogni a occhi aperti, nelle conversazioni, nelle relazioni, nelle attività creative e in altre cose simili” (p. 85).
L’inconscio non è un serbatoio pulsionale sempre pronto a sovrastare il contenimento dell’Io, l’inconscio è una forma di esistenza della nostra vita mentale molto sofisticata che non si esaurisce però nell’articolazione dei significanti.
Esiste una dimensione del nostro funzionamento inconscio che non segue l’articolazione dei significanti e che si manifesta come una modalità idiomatica di sentire e organizzare ciò che ci tocca emotivamente.
Nel corso di una seduta psicoanalitica questa particolare modalità idiomatica della vita inconscia emerge attraverso le libere associazioni del paziente.
Il paziente grazie al fluire libero della parola, non predeterminato dal raggiungimento di un obiettivo esplicito (performance) o dall’esigenza consapevole di domandare e ricevere una risposta dall’Altro (dialogo), può abbandonarsi a un’esperienza di sé grazie a cui può emergere quello che Bollas chiama “l’ordine materno”.
Secondo Bollas il funzionamento inconscio dell’Io, di cui ha scritto Freud, prende forma attraverso la relazione del soggetto con la madre: “La madre accoglie il bambino nella vita mentale. La messa al bando di ciò che è proibito è ancora al di là da venire. Anzi questo processo inconscio è un lungo periodo di soddisfazione dei desideri e dei bisogni” (p. 85).
In realtà, come mostrano i casi clinici più gravi, l’accoglienza delle madri non è sempre fonte di soddisfazione, anzi nella psicosi e nella clinica borderline l’alterazione maggiore riguarda proprio questa prima forma di intesa tra soggetto e Altro. È a livello della relazione con la madre, intesa come primo grande Altro con cui il soggetto entra in relazione, che Clara Mucci colloca la dimensione più precoce (e originaria) del trauma infantile.
Ora, se intrecciamo le riflessioni teoriche di Bollas con una prospettiva neurobiologica interpersonale, possiamo sostenere che, nella cura delle nevrosi, le libere associazioni rendono possibile un’esperienza del linguaggio che in primo luogo attiva l’emisfero destro, quella parte del “sistemi corpo-mente-cervello” che ha registrato le tracce implicite dei primissimi rapporti tra il soggetto e l’Altro. In una cura psicoanalitica, attraverso le libere associazioni, bisogna dar voce a questo livello della vita psichica – “il conosciuto non pensato” di cui parla Bollas –, per avvenire come soggetti lì dove nascono i sogni e la creatività umana, attivando quella parte dell’emisfero destro in cui sono inscritte le tracce endopsichiche di quella che Bollas definisce “l’ombra dell’oggetto”.
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Per qualche spunto in più guarda questo video sullo sciame borderline.
Per approfondire, tra i libri di Nicolò Terminio, si rimanda a:
- Tradurre dal silenzio. La psicoanalisi come esperienza assoluta (2018)
- L'intervallo della vita. Il Reale della clinica psicoanalitica e fenomenologica (2020)
- Autobiografie dell'inconscio. Psicoanalisi, scrittura e trasformazione (2022)