L’inconscio tra resistenze e controtransfert
Fiducia e resistenze
Come si lavora per far crollare le resistenze? Credo che le resistenze possano allentarsi se si alimenta la fiducia nell’inconscio. Non basta costruire una relazione all’insegna della fiducia nel terapeuta, bisogna essere almeno in tre nella stanza d’analisi: paziente, analista e inconscio.
L’alleanza terapeutica nasce quando la relazione tra terapeuta e paziente trova un terzo polo che orienta il lavoro e gli accadimenti che avvengono in seduta.
Forse è un po’ esagerato, ma potrei dire che anche nei casi più gravi – e sto pensando alle persone incontrate in comunità – la fiducia compare quando il paziente percepisce che la vitalità dell’operatore è indirizzata verso la scoperta delle ragioni della sofferenza.
Se il terapeuta mostra al paziente un modo per accostarsi all’inconscio che non sia troppo perturbante ma anche generativo, allora la sfiducia e la diffidenza possono fare spazio a una genuina apertura. Questo però è solo uno dei primi passi nella cura, le resistenze (e le difese) non scompariranno mai del tutto, saranno sempre in rapporto allo sfondo inquieto che anima la dinamica transferale.
Per qualche spunto in più guarda questo video sul transfert come romanzo e come lettera:
Quando ci occupiamo della dinamica transferale dobbiamo tener conto anche del controtransfert. Direi che il controtransfert complica la gestione del transfert, se per controtransfert intendiamo l’emergere nella mente del terapeuta di temi nevrotici non sufficientemente analizzati.
Nel panorama psicodinamico oggi si distingue il controtransfert inteso in questo senso dalla reazione emotiva del clinico di fronte alla psicopatologia del paziente. Le emozioni e i pensieri che un clinico (o un operatore) prova non riguardano sempre temi irrisolti della propria storia personale, in alcuni casi sono un indicatore prezioso per cogliere tratti e sfumature che caratterizzano la particolarità del paziente.
La difficoltà consiste allora nel saper distinguere quanto ci mette il clinico e quanto ci mette il paziente: quello che il clinico prova dipende dall’inconscio del paziente o dal proprio? È in questa domanda che risiede tutta la delicatezza dell’atto diagnostico e terapeutico.
Le supervisioni, per esempio, servono per distinguere il controtransfert dalla reazione emotiva generata dall’incontro con certe tipologie di pazienti. È una distinzione essenziale che riguarda non soltanto gli analisti che lavorano nel proprio studio, ma anche tutti gli operatori della salute mentale che si trovano alle prese con pazienti molto gravi. Basti pensare che nella cura dei pazienti borderline è molto più facile che siano gli operatori a borderlinizzarsi invece che i pazienti a stabilizzarsi (alcuni anni fa Giovanni Foresti e Mario Rossi Monti avevano scritto un articolo su questo tema parlando di una diagnosi double-face).
Per qualche spunto in più guarda questo video sull'ascoltare il trauma e farsi intercessori dell'evento:
Transfert e desiderio dell'analista
La gestione del transfert non si esaurisce però con l’analisi del controtransfert, anzi inizia proprio da qui ed è guidata da quello che in ambito lacaniano viene definito “desiderio dell’analista”, un desiderio che si rivolge alla singolarità del paziente, che vuole condurre il transfert verso l’incontro con il Reale, perché è lì che il paziente potrà scoprire la propria unicità.
Se il controtransfert e la reazione emotiva del clinico sono due categorie concettuali che segnalano ciò che in qualche modo si ripete nella relazione terapeutica, il desiderio dell’analista vuole configurarsi come una risposta inedita che il paziente troverà nell’operatore della cura.
È anche una posizione nuova che l’operatore elabora e continua a inventare, il desiderio dell’analista è singolarità che si rivolge a singolarità. Non dobbiamo però dimenticare che sebbene il desiderio dell’analista sia singolare va coltivato in una comunità analitica.