Coscienza e trascendenza
Nella prospettiva fenomenologico-dinamica la coscienza può essere definita come una “vulnerabile regia dell’esserci” (G. Stanghellini, M. Rossi Monti, Psicologia del patologico. Una prospettiva fenomenologico-dinamica, p. 316).
Certamente questa definizione coglie quegli aspetti dell’identità narrativa collegati ai nostri vissuti e in particolar modo al sapore emotivo-affettivo che permea il significato dell’esistenza.
La clinica della psicosi ci ha insegnato però che le condizioni di possibilità della nostra regia dell’esserci non sono situate nella coscienza riflessiva, ma a un livello pre-riflessivo. Si tratta di quella dimensione trascendentale che costituisce “la trama invisibile (e fondativa) del reale” (G. Di Petta “Saggio introduttivo. Lorenzo Calvi: il canone fenomenologico della cura”, in L. Calvi, La coscienza paziente. Esercizi per una cura fenomenologica, p. 13).
Indice
Livelli di coscienza
Il termine “coscienza” può essere innanzitutto riferito allo stato di vigilanza, ossia alla capacità di essere lucidi e in grado di gestire le proprie facoltà percettive, cognitive, mnesiche ecc.
Un’altra accezione riguarda la coscienza morale e quindi la struttura di valori della persona.
Nella prospettiva fenomenologica la caratteristica fondamentale della coscienza è l’intenzionalità, cioè la propensione della coscienza a costituirsi nel movimento stesso che la apre verso il mondo.
Essere aperti verso il mondo definisce il percorso biunivoco di una coscienza che si dirige verso il mondo e che rimane recettiva verso ciò che la impressiona dal mondo.
La coscienza fenomenica designa tre caratteristiche dell’esperienza soggettiva in cui il mondo si presenta così come ci appare:
- la trasparenza indica il fatto che i contenuti della coscienza ci sono dati senza la mediazione di stati mentali, non vediamo cioè i nostri stati mentali, ma vediamo il mondo in maniera diretta e immediata;
- la coscienza fenomenica si distingue inoltre per essere prospettica: dipende cioè dal punto di vista da cui facciamo esperienza;
- e infine, la coscienza fenomenica è presente, non ci sono cioè intervalli temporali tra il momento in cui percepiamo il mondo e il momento in cui il mondo esiste.
La coscienza di sé o autocoscienza consiste nell’essere consapevoli di sé nel momento in cui si è consapevoli del mondo: si realizza un’integrazione tra percezione e coscienza.
C’è un livello minimo di coscienza di sé che viene indicata con il termine “ipseità” riferendosi a una modalità di coscienza di sé che non è mediata da alcuna riflessione introspettiva. Si tratta di una coscienza pre-riflessiva che si traduce nella possibilità di sentirsi dei soggetti incarnati: di sentirsi appartenere a se stessi e di sentirsi titolari della propria esperienza senza la mediazione di alcuna attività riflessiva.
La coscienza di sé narrativa riguarda invece il livello riflessivo della coscienza, che concorre a costruire il senso storico e simbolico della propria identità. L’attività della coscienza riflessiva restituisce una trama storica alle esperienze soggettive e le contestualizza in un orizzonte temporale dove il presente si aggancia al passato per proiettarsi verso il futuro.I disturbi della coscienza possono essere differenziati secondo tre livelli. Il primo livello riguarda le alterazioni della vigilanza, che possono essere a loro volta distinte da un lato in alterazioni quantitative e qualitative e dall’altro in quadri a eziologia organica o di gravissime patologie psicotiche.
Il secondo livello di alterazioni della coscienza si riferisce al sentimento di sé, che viene sconvolto nei quadri clinici delle persone schizofreniche.
Ciò che viene messo in questione è il fondamento del proprio essere soggetti d’esperienza.
Nel caso delle condizioni maniaco-depressive ritroviamo una frattura tra ciò che del sé rimane sempre uguale a se stesso e ciò che invece si proietta sempre al di là del proprio sé. Sul versante melanconico-depressivo prevale la ripetizione mortificante dell’identico, mentre sul lato maniacale il soggetto è fuori da un’orbita narrativa.
Il terzo livello riguarda lo sfilacciamento della trama narrativa che è una questione psicopatologica trans-strutturale che accomuna tanto i gravi disturbi di personalità quanto i soggetti nevrotici.
La conduzione della cura deve tenere in considerazione i differenti livelli di compromissione del dispositivo antropologico della coscienza.
La coscienza riflessiva è il livello più sofisticato e presuppone uno stato di vigilanza adeguato e un ancoraggio nel sentimento di sé.
Solo a partire da questi presupposti è possibile iniziare un percorso psicoterapeutico, dove il cambiamento e gli effetti della cura possono realizzarsi come una nuova riformulazione della propria identità narrativa.
Quando la cura non si muove su questo livello, deve allora preoccuparsi di ricostituire le basi affinché ciascun paziente possa riprendere una modalità riflessiva nella propria vita o, in casi molto gravi, trovare una supplenza a quell’assenza di fondamento che incombe sul destino delle persone schizofreniche.
A livello trascendentale il dispositivo della coscienza permette di avere la sensazione di appartenenza al proprio corpo e alla propria esperienza cosciente.
A questo livello sappiamo – senza chiedercelo e senza saperne immediatamente il perché – che il nostro corpo è il nostro corpo e che le nostre idee sono le nostre idee. È grazie a questa trama implicita che un soggetto diventa soggetto d’esperienza e che può confrontarsi con il mistero che lo abita.
La vulnerabilità (e la sfida esistenziale) che è racchiusa nel dispositivo della coscienza consiste allora nella possibilità di riformulare il rapporto con il “dispositivo trascendentale” che permea e attraversa le nostre esperienze.
Ciascuno ha il proprio dispositivo trascendentale, ciascuno ha il proprio inconscio.
E così in una cura fenomenologico-dinamica si tratterà non soltanto di sostenere l’identità narrativa, ma di provare a cambiare il rapporto con quegli assunti impliciti che predispongono la forma e il senso dell’esperienza vissuta.
Nella cura fenomenologico-dinamica il gesto decisivo per sostenere la trasformazione soggettiva non consiste nel padroneggiare le conoscenze o i dispositivi che assoggettano la nostra vita.
Le crepe del nostro sapere e la vulnerabilità della nostra esistenza ci presentano un’occasione diversa che è data dal tempo della trascendenza.
Nel movimento della trascendenza (o, in termini psicoanalitici, della soggettivazione) si apre la possibilità di prendersi cura delle proprie crepe senza più considerarle come ferite perché in realtà esse non sono lo strappo della trama con cui ci proteggiamo ma il punto privilegiato da cui poter accedere a quella luce o quelle tenebre che ci avevano spinto a costruire quella stessa trama che dà corpo alla nostra identità narrativa.
Ecco perché l’approccio fenomenologico-dinamico ci permette di cogliere la posta in gioco di ogni cura psichica, che come suggeriva lo psicoanalista Aldo Carotenuto in Una lettera aperta a un apprendista stregone (1998) consiste nel trasformare le proprie ferite in feritoie.
Per qualche spunto in più guarda questo video sul transfert come romanzo e come lettera.
Per approfondire “Coscienza e trascendenza”, tra i libri di Nicolò Terminio, si rimanda a: