Attacco di panico: fedele antidoto all’incontro con la vita
Gli attacchi di panico mostrano lo straripamento del Reale e vengono vissuti dal soggetto come un fulmine a ciel sereno che in modo imprevedibile fa emergere la vita fuori da qualsiasi rappresentazione e da qualsiasi limite.
La crisi di panico si configura come un’esperienza che mette in risalto l’inefficacia del Simbolico nel ricoprire con il senso la dimensione del Reale. In tal modo, l’attacco di panico assume le sembianze dell’evento traumatico perché il soggetto si ritrova ad affrontare la “nuda vita” senza riferimenti simbolici.
Indice
La deviazione del panico
Nonostante gli attacchi di panico manifestino un eccesso pulsionale che surclassa il potere rappresentativo del Simbolico, possono comunque diventare uno scudo che protegge il soggetto dall'eccesso di vita del corpo.
Nella pratica clinica bisogna allora considerare la doppia valenza degli attacchi di panico: da un lato si configura come l'emergenza del Reale pulsionale, dall'altro però nel corso della cura il soggetto può accorgersi che il panico può stranamente svolgere una funzione di difesa dal Reale.
Sicuramente il paziente non giungerà a questa consapevolezza subito e intuitivamente, perché proprio gli attacchi di panico traumatizzano la stabilità della vita. Nelle crisi di panico la vita del corpo disattiva ogni capacità di simbolizzazione e diventa talmente ingovernabile da far sentire le persone in procinto di morire.
In analisi un paziente può però avvertire che l’attacco di panico fissa comunque un limite all’esposizione di sé di fronte all’ignoto.
L’attacco di panico diventa il fedele antidoto all’incontro con la vita perché anticipa l’approssimarsi del godimento assoluto del corpo.
Se nella cura si contestualizza il momento in cui emerge l’attacco di panico, allora si può comprendere quanto la crisi sia innanzitutto un appello all’Altro, un modo di chiedergli aiuto per domare e capire un eccesso inspiegabile della vita del corpo. Ecco perché l’attacco di panico si configura come una deviazione dal tragitto che porterebbe verso il godimento assoluto del corpo.
Un paziente parlava della paura di prendere il volo da solo. Prendere il volo da solo significava non aver più bisogno del parere degli altri e non farsene più schiacciare.
Per descrivere la sua situazione aveva utilizzato l’immagine del nido, della difficoltà a fare il primo volo, del voler lasciare il nido e del volervi rimanere allo stesso tempo.
Tradire la sua ragazza – che era vissuta più come una madre che come una donna – era il modo che aveva trovato per non rinunciare all’eccitazione del proibito mantenendo comunque la possibilità di ritornare indietro.
Tradire era un modo per uscire dal nido ma assicurandosi di poterci ritornare. Ed è stato proprio in questo frangente che il paziente aveva collegato la sua dipendenza dal nido con la dipendenza dal parere degli altri: in entrambi i casi viene messo in gioco lo stesso bisogno di trasferire nel campo dell’Altro l’esperienza del Reale che si prova nell’incontro con una donna.
E se nell’incontro con una donna – come dice Lacan – un uomo trova l’ora della sua verità, sappiamo anche che si tratta di una verità muta perché riguarda una piega dell’esistenza che non aspetta nessuna spiegazione, dato che l’ultima parola sul godimento confluisce nel silenzio.
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Per qualche spunto in più si veda questo video sulle due anime del desiderio.
Per approfondire “Attacco di panico: fedele antidoto all’incontro con la vita”, tra i libri di Nicolò Terminio, si rimanda a:
- Tradurre dal silenzio. La psicoanalisi come esperienza assoluta (2018)
- A ciascuno la sua relazione. Psicoanalisi e fenomenologia nella pratica clinica (2019)
- L'intervallo della vita. Il Reale della clinica psicoanalitica e fenomenologica (2020)