Lo sciame borderline e il sorriso di Recalcati
Durante l’elaborazione della tesi sullo sciame borderline ho avuto bisogno di aiuto per capire meglio in che direzione stavo andando.
Fu così che mi rivolsi a Massimo Recalcati chiedendogli una supervisione teorica prima di esporre la mia tesi agli allievi dell’IRPA di Milano, la scuola di specializzazione in psicoterapia di cui è direttore scientifico.
Mentre presentavo a Recalcati i miei schemi e i miei ragionamenti clinici ero molto timoroso, sebbene tra me e me fossi convinto della mia tesi. Parlammo un po’ dell’argomento, ripresi le concettualizzazioni dello stesso Recalcati su clinica borderline e “clinica del vuoto” e proposi la mia visione del problema.
Recalcati fu particolarmente accogliente e addirittura si alzò dalla poltrona e si avvicinò sedendosi sul suo divano di analista e chiedendomi di passargli le slides in power point che avevo stampato e su cui erano raffigurati i miei schemi – e questo segno di attenzione mi colpì ancor di più perché Recalcati non ama assolutamente il power point. E così, mentre Recalcati mi ascoltava e contemporaneamente dava un’occhiata alle slides, gli dissi che noi non scopriamo la struttura, non la sveliamo, ma è la cura che la produce.
È la cura che permette di passare dallo sciame alla struttura.
È la cura che produce la strutturazione della caoticità. È il lavoro terapeutico svolto insieme al paziente che permette a quelle sedute – sedute numero “Uno” a cui non segue mai a una seduta numero “Due” – di diventare finalmente degli incontri che aprono a una concatenazione.
Quindi il funzionamento dello sciame, nel confronto con la clinica borderline, ci porta a lasciare un po’ da parte la struttura e a pensare che alcuni soggetti possano funzionare in un altro modo. Per questi soggetti, come osservò Recalcati, la struttura può essere la chance aperta dalla cura.
Come sempre, Recalcati mi aveva ascoltato con un silenzio assoluto e poi quando aveva preso la parola le sue osservazioni erano andate dritte dritte verso i nodi che avrei dovuto ancora sciogliere e, tra le altre cose, mi suggerì che avrei dovuto distinguere i “ritorni del Reale” nella psicosi dai “ritorni del Reale” nel borderline. E si tratta di una distinzione fondamentale per il lavoro terapeutico.
Alla fine della supervisione Recalcati sorrise e mi disse: “Quindi stai dicendo qualcosa di nuovo”. Forse senza quelle parole e quel sorriso non avrei trovato la spinta necessaria per dare a quelle idee sparse, che si configuravano esse stesse come uno sciame, una struttura argomentativa da condividere con i miei colleghi.