Una vita degna di essere vissuta: leggere l'autobiografia di Marsha Linehan
Senza un lavoro autobiografico il grido della vita sarebbe rimasto relegato alla dimensione del trauma, un trauma senza senso e senza trama.
Nella bellissima autobiografia di Marsha Linehan osserviamo questo passaggio esistentivo che ha portato l’autrice dalla “notte oscura dell’anima” all’elaborazione della Dialectical Behavior Therapy (DBT).
La DBT è il trattamento con il maggior numero di prove di efficacia per la cura dei pazienti borderline, ma inizialmente non era stata pensata per questa tipologia di pazienti bensì per coloro che presentavano delle tendenze “parasuicidarie”. Erano le stesse tendenze che avevano risucchiato l’autrice intorno ai diciotto anni fino a trascinarla in un vortice tremendo dentro le istituzioni psichiatriche.
Indice
Con la sua autobiografia la Linehan ci fa entrare nel vivo della sua esperienza e ci mostra la matrice esistenziale che l’ha guidata nella costruzione di una teoria del soggetto e di un metodo di cura che hanno cambiato la storia delle terapie comportamentali.
È un percorso che risulta interessante perché vediamo da vicino come ogni teoria sia espressione dell’esistenza di chi l’ha formulata.
Sebbene la terapia ideata dalla Linehan rientri nei modelli cognitivo-comportamentali presenta degli elementi che possiamo ritrovare anche nei modelli fenomenologico-dinamici.
La descrizione clinica e la riflessione teorica sulla spinta ad agire e sulla disregolazione emotiva dei pazienti borderline presenta innumerevoli spunti per rintracciare anche nel modello DBT la concettualizzazione di uno sciame che aspira a una struttura.
Ciò che risulta centrale anche nella DBT è dare consistenza significante a una nebulosa di vissuti emotivi che le persone cercano di domare con varie forme di agiti che possono andare dai gesti autolesivi ai tentativi di suicidio o esprimersi con manifestazioni intense di rabbia e violenza.
Per qualche spunto in più guarda questo video sullo sciame borderline.
Grazie a questo libro della Linehan osserviamo l’importanza della scrittura autobiografica come elemento indispensabile anche per chi ha compiuto un cammino scientifico di alto livello.
Nessuna pubblicazione scientifica riesce a soddisfare il desiderio del ricercatore che cerca di trasmettere ciò che non si lascia scrivere.
La Linehan con il racconto dei suoi vissuti e con le riflessioni con cui li ha elaborati ci offre diversi spunti per osservare l’intreccio tra memoria, autobiografia e ricerca della propria singolarità.
In alcune condizioni soggettive senza il lavoro autobiografico la memoria degli eventi che hanno marchiato la propria esistenza rimarrebbero nel vuoto, non esisterebbero.
Oppure, esisterebbero soltanto come eco di un grido che non è diventato ancora una traccia, come onda emotiva che continua ad attanagliare l’inquietudine errante e lo sfondo di solitudine dolorosa.
Il confronto autobiografico della Linehan con i buchi della sua memoria la conduce a rintracciare quel grido che non era mai diventato traccia per qualcun Altro.
Soltanto con la scrittura quel grido sembra trovare un orizzonte simbolico in grado di rappresentarlo ma anche di istituirlo come esistenza che può essere vissuta.
La scrittura istituisce il passaggio dalla vita alla traccia, una traccia che però non rappresenta mai in modo esaustivo la vita. Anzi, grazie a questo scarto incolmabile tra il grido della vita e la traccia può esistere la soggettività.
Il termine “dialettica” utilizzato dalla Linehan indica allora un equilibrio dinamico tra queste due dimensioni.
La cura dei pazienti borderline consiste nell’avviare e sostenere un movimento soggettivo che consenta di trasformare uno sciame ronzante di vissuti nella traccia di un’esistenza degna di essere vissuta.
Non il senso come spiegazione della propria vita, ma il senso cha fa sentire che la vita è degna di essere vissuta.
Ed è proprio attorno a questa serie di parole, “una vita degna di essere vissuta”, che danno il titolo alla traduzione italiana dell’autobiografia della Linehan che possiamo rintracciare un altro elemento interessante per approfondire la diagnosi differenziale tra borderline e psicosi: Marsha Linehan non è Ellen West perché le sue tendenze parasuicidarie non sono espressione della stessa pulsione che Massimo Recalcati ha rintracciato nello studio del caso clinico di Ludwig Binswanger.
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Per qualche spunto in più guarda questo video su Hilflosigkeit, enunciazione e teoria scientifica.
Per approfondire, tra i libri di Nicolò Terminio, si rimanda a: