Vita e istituzioni: leggerle con la filosofia
Nel libro Vitam instituere. Genealogia dell’istituzione Roberto Esposito ci fa entrare, secondo una prospettiva filosofica, nel vivo di quella pulsazione inconscia che anima tanto i processi di cura quanto le dinamiche gruppali del lavoro in istituzione.
Non sono un filosofo, né ho la vocazione per gli studi filosofici, però ogni volta che leggo un libro di Esposito penso che ogni operatore psico-gruppo-analitico che lavora in istituzione dovrebbe meditare sulla sua prassi secondo una prospettiva filosofica.
Grazie alla riflessione Esposito possiamo comprendere quanto sia importante nella vita istituzionale assumere come legge di esistenza la rimessa in gioco costante delle proprie acquisizioni, vale a dire la continua trasformazione dei propri ordini. Esposito mostra quanto vita e istituzioni, materia e forma, immediatezza e mediazione non si oppongano reciprocamente, ma coabitino all’interno di uno stesso movimento istituente.
Secondo Esposito le istituzioni sono fin dall’inizio attraversate dalla potenza della vita. E la potenza della vita, a sua volta, per essere umana è sempre istituita.
La riflessione di Esposito va situata nel punto di tensione creativa tra norma e istituzione, in quello snodo della vita istituzionale in cui la norma non si limita ad essere uno strumento di regolazione, un freno, e si presenta piuttosto come una potenza performativa.
La valenza performativa della norma consiste nell’istituire attraverso la dimensione simbolica qualcosa di nuovo (il termine “performativo” non rimanda alla performance, prestazione, ma al dare forma a una nuova dimensione).
In questa prospettiva la dimensione simbolica risulta centrale non soltanto per la sua valenza semantica (descrivere e dare significato all’esistente), ma anche per la possibilità di tracciare le condizioni di esistenza del nuovo, di ciò che non è ancora scritto.
Possiamo osservare quest’intreccio tra le regole e lo slancio vitale che anima l’istituzione riprendendo le riflessioni di Esposito sulle abitudini, che possiamo intendere nella loro veste di modalità ripetitive che caratterizzano la vita quotidiana delle istituzioni.
Nell’ambito della vita istituzionale è importante che le abitudini non chiudano la possibilità di esplorare nuove modalità, nuovi tragitti.
Nel rapporto tra vita e istituzione avviene dunque la costruzione di una partitura – di un setting, potremmo dire pensando alle istituzioni di cura – una partitura che è importante che non diventi mai un automatismo acefalo.
Questa tendenza a ripetere in modo acefalo le abitudini consolidate è uno dei rischi della chiusura alla vita delle istituzioni. Possiamo infatti notare che a volte nelle istituzioni la dimensione istituente può essere ingabbiata dalla tendenza a ripetere ciò che è già scritto. In questi casi le abitudini, invece di configurarsi come l’acquisizione di una base di partenza per esplorare il mondo, vengono ridotte a una modalità di difesa dalla dimensione istituente che è insita in ogni dispositivo istituzionale.
La dimensione istituente dell’istituzione fa della vita non qualcosa da governare e irreggimentare in una forma statica e ripetitiva. La dimensione istituente produce un andamento circolare tra la mediazione riflessiva e l’immediatezza irriflessa perché da un lato è necessario che ci sia l’abitudine altrimenti l’entropia renderebbe impossibile la vita stessa dell’istituzione, ma dall’altro è importante rinnovare l’apertura alla vita mettendo in discussione le abitudini consolidate.
È inoltre molto interessante il modo in cui Esposito considera l’immaginazione e la dimensione dell’immaginario all’interno della vita istituzionale. L’immaginazione rivela infatti un potenziale affermativo che ci permette di notare quanto il registro dell’immaginario non si presenti soltanto come un inciampo delle relazioni simboliche.
L’immaginario può esprimere infatti ciò che c’è di più creativo nelle dinamiche gruppali e organizzative delle istituzioni.
Perché l’immaginario è istituente nel senso letterale, dato che modifica la realtà, creandone una che prima non c’era.
L’immaginario opera sul piano percettivo-evocativo, andando al di là dei meri dati oggettivi per produrre delle condizioni nuove.
Certo, va sottolineato che l’immaginario di cui parla Esposito non è il luogo dell’identificazione narcisistica con la propria immagine, la potenza affermativa dell’immaginario deriva dal fatto che è il luogo della forma, il luogo in cui si manifesta quel miracolo della forma che rende visibile il flusso invisibile, ma tangibile, del Reale che attraversa le nostre vite.
Per qualche spunto in più guarda questo video sull'essere intercessori dell'evento.
Per approfondire la dimensione istituzionale e gruppale del lavoro clinico, tra i libri di Nicolò Terminio, si rimanda a: