Il caso Schreber: il meccanismo della paranoia e la fine del mondo
“Dopo questa discussione sull’inatteso significato che la fantasia di desiderio omosessuale riveste per la paranoia” (Ivi, p. 391) Freud individua come tratto essenziale della formazione dei sintomi il processo della proiezione. Si tratta di “una percezione interna” che viene repressa e a cui subentra nella coscienza, “dopo aver subito una certa deformazione”, una percezione esterna (Ivi, p. 392). In altre parole: “ciò che era stato abolito dentro di noi, a noi ritorna dal di fuori” (Ivi, p. 396).
Per qualche spunto in più sulla psicosi guarda questo video su Complesso di Edipo e forclusione del Nome del Padre.
Freud continua il saggio articolando le tre fasi della rimozione e occupandosi del problema del distacco della libido nella paranoia: “il malato ha sottratto alle persone del suo ambiente e al mondo esterno in generale l’investimento libidico fino allora ad essi rivolto. […] La fine del mondo è la proiezione di questa catastrofe interiore; il suo mondo soggettivo è giunto alla fine dal momento in cui egli ha sottratto ad esso il suo amore” (Ivi, p. 395).
E in seguito a questo “profondo mutamento interiore” (Schreber D.P. (1903), Memorie di un malato di nervi, p. 105) il paranoico cerca di ricostruire il mondo e di riconciliarsi con esso; e qui il delirio si configura, piuttosto che come un prodotto della malattia, come “il tentativo di guarigione” (Freud 1910, p. 396).
La trasformazione interiore di Schreber avviene in un processo silenzioso, di cui si possono soltanto osservare “gli eventi che seguono. Si impone invece clamorosamente alla nostra attenzione il processo di guarigione”, ossia quella prodigiosa costruzione delirante che segue il “gioco” della proiezione.
Chiudiamo questo rapido viaggio nel testo freudiano con una frase che tocca proprio il punto di trasformazione a cui subentra quella fine del mondo che irrompe nella vita del soggetto paranoico: “la fine del mondo era la conseguenza del conflitto scoppiato tra lui e Flechsig, oppure […] del legame diventato ormai indissolubile, tra lui e Dio, e costituiva perciò l’esito necessario della sua malattia” (Ivi, p. 395).
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