Paranoia e volontà dell’Altro
La paranoia è una declinazione della struttura psicotica dove diventa prevalente il rapporto immaginario con gli altri. Nella psicosi paranoica la parte più pulsionale e oscura del soggetto viene proiettata sull'Altro. Il paranoico si percepisce quindi come un soggetto integro e senza crepe interne. Ciò che c'è di pulsionale viene sperimentato soltanto come qualcosa che proviene dall'Altro.
Nella paranoia è l'Altro il portatore della dimensione pulsionale. A tutto questo si aggiunge l'interpretazione che il soggetto paranoico fa della dimensione pulsionale dell'Altro: secondo il paranoico l'Altro ha una volontà maligna da cui bisogna difendersi. Ecco il presupposto di base che orienta il paranoico nella formulazione della sua certezza delirante.
Indice
Essere oggetto dell'Altro
Il vissuto del paziente paranoico mette in luce quella condizione soggettiva dove l’Altro assume le sembianze di una volontà di godimento maligna da cui bisogna difendersi.
Nel caso della psicosi il soggetto è in una condizione di assoggettamento al volere dell’Altro.
Nella sua esperienza evolutiva lo psicotico non ha incontrato quella funzione terza in grado di modulare il rapporto con l’Altro. Nella psicosi tra l’Altro e il soggetto manca un Terzo che possa fare da garante del rapporto: è questa la forclusione del Nome del Padre di cui parla Lacan.
Più precisamente possiamo incontrare nella storia dei pazienti psicotici l’assenza o il rigetto di qualcuno o qualcosa che sia stato in grado di disciplinare e modulare il desiderio dell’Altro nei confronti del soggetto. La condizione di assoggettamento è costituita allora dal fatto che nessun Altro potrà interporsi in questo rapporto duale dove il soggetto si sente completamente sottoposto alla volontà dell’Altro.
Un’altra conseguenza dell’assenza di una funzione terza modulatrice (forclusione del Nome del Padre) possiamo ritrovarla nella difficoltà del paziente psicotico a decodificare la volontà dell’Altro.
Per lo psicotico le intenzioni dell’Altro rimangono sempre come un enigma che nessun senso potrà mai saturare, ci sarà sempre un resto di non-senso da cui il paziente si sentirà minacciato.
Se manca un Terzo che si interpone tra soggetto e Altro, allora l’Altro apparirà senza vincoli non solo rispetto alla sua volontà di godimento ma anche rispetto al senso che possono prendere le sue parole e le sue azioni.
Il Terzo modulatore (Nome del Padre) consentirebbe di interpretare le intenzioni dell’Altro, di ordinarle e di riferirle a un insieme più ampio. Se manca il Terzo il soggetto si trova a recepire una serie di messaggi e di azioni senza avere però il codice per decodificarle.
La condizione dello psicotico è dunque quella di essere oggetto dell’Altro e di non poter attribuire in modo affidabile un senso alle intenzioni dell’Altro.
È proprio su questo punto che si innesta il delirio paranoico, un modo per rimediare a una condizione soggettiva caratterizzata dalla fatica di abitare la dialettica intersoggettiva, perché lo psicotico non abita la relazione con l’Altro, semmai ne è posseduto.
Per qualche spunto in più guarda questo video sul delirio come sasso in bocca del significante.
Già diversi anni fa alcuni studi hanno approfondito la teoria della mente nei pazienti psicotici e su questa linea di ricerca molti studiosi riscontravano la marcata compromissione nell’intendere le battute di spirito o le metafore.
Troviamo osservazioni analoghe in ampie porzioni delle analisi fenomenologiche di alcuni psicopatologici tedeschi.
Voglio ancora ricordare il caso di Anna Rau, quella paziente che con il suo vissuto permetteva a Blankenburg di esplorare il nucleo basale della psicosi: gli altri la disarcionano sempre, sono portatori di una evidenza naturale per lei irraggiungibile.
La perdita dell’evidenza naturale di cui parlava Anna Rau mostra la drammatica esclusione del soggetto psicotico dal senso comune, dalla condivisione della dimensione del senso.
Nel caso della paziente di Blankenburg siamo colpiti anche dall’impossibilità a rivestire simbolicamente questo nucleo di non-senso, neanche il delirio solleverà Anna Rau dal confronto con questa condizione disumana, da cui riuscirà a sottrarsi soltanto con il suicidio.
Il soggetto psicotico può virare verso la floridezza del delirio paranoico quando intravede nell’Altro un enigma che è riconducibile al piano del godimento.
E allora il paziente psicotico “si lascerà sconvolgere” anche da eventi in apparenza banali, ma portatori ai suoi occhi di una cattiva intenzione. E così basterà vedere l’operatrice J. mentre parla con M. in cucina per sospettare subito una tresca tra quello sporcaccione di M. e J., una tresca fatta per di più a sue spese, contro di lui, perché loro mentre ridevano in cucina stavano ridendo proprio di lui.
Ho appena affermato che il paziente psicotico “si lascia sconvolgere” da eventi in apparenza banali, in realtà se proviamo a proporre questa formulazione al paziente diventeremo noi stessi dei persecutori.
Per lo psicotico in preda al delirio paranoico è assodato che è l’Altro a sconvolgerlo, a volerlo sconvolgere.
Il paranoico è come se vivesse assumendo per vero un “postulato di innocenza”: lui è innocente e l’Altro è il colpevole (cfr. M. Recalcati, Jacques Lacan. La clinica psicoanalitica: struttura e soggetto, 2016, pp. 229-231).
Il Male è fuori di me: ecco la certezza da cui prende validità il delirio del paranoico. Da questo punto di vista possiamo osservare quanto proiettare il Male all’esterno diventi un presupposto etico che riguarda non solo l’apertura del soggetto verso l’esistenza ma anche l’atteggiamento di base della mentalità civile.
Ancora oggi bisognerebbe discutere dei momenti storici in cui il postulato paranoico inizia ad animare il vissuto e la cultura di un popolo.
In altri casi possiamo osservare la circolazione di questo postulato dentro confini più ristretti come quello di una organizzazione aziendale o addirittura di una istituzione di cura.
Per qualche spunto in più si veda questo video sull'essere "soggetti al Male" nella paranoia, nella psicopatia, nel borderline e nella nevrosi.
Ritorniamo alla questione del soggetto paranoico e alla “la conoscenza totale” che caratterizza il suo stare al mondo [M. Rossi Monti, Paranoia, scienza e pseudoscienza. La conoscenza totale, 2009 (1ª ed. 1985)].
A tal proposito Blankenburg sottolineava la necessità di far transitare il paziente dal delirio alla prospettività, farlo passare cioè dalla monointerpretazione delirante alla pluralità delle interpretazioni, in modo da scalfire la dimensione granitica del delirio (cfr. W. Blankenburg, “Perspektivität und Wahn”, 1991).
Questo passaggio è però praticabile soltanto quando riusciamo a dare al paziente una sorta di garanzia sul fatto che il Male verrà mitigato da un Terzo.
Il paranoico sovrappone la certezza di essere oggetto dell’Altro con la certezza delle intenzioni malevole dell’Altro. Il suo delirio trae linfa da questa sovrapposizione.
Il nostro compito terapeutico dovrà allora realizzarsi per introdurre una dimensione terza tra soggetto e Altro. Ciò che può pacificare uno psicotico è la presenza di un Terzo che sappia dare un posto definito all’Altro.
Dare un posto all’Altro e disciplinarne la presenza vuol dire ridurre l’effetto enigmatico della sua presenza riconducendolo a una cornice di senso più ampia.
L’istituzione terapeutica e le varie attività da svolgere possono essere un modo per introdurre un codice che metta in ordine e nella giusta sequenza i vari messaggi che circolano nella trama degli eventi quotidiani.
Questo codice può essere il regolamento che orienta e prevede il funzionamento della comunità. In questo modo, in quanto operatori diventiamo una sorta di segretario istituzionale che si preoccupa in primo luogo di farsi garante di un campo di relazioni dove ognuno abbia il suo posto.
In quanto operatori non saremo noi ad occupare il posto del Terzo che regola l’Altro dello psicotico, saremo piuttosto quelli che ricordano a ciascuno, operatori e stagisti compresi, che in ogni relazione umana deve esistere un Terzo che tenga al riparo da quell’eccesso di malintesi che possono trasformarsi in una presunta volontà maligna dell’Altro.