Il Covid-19: dal trauma alla trama
Nell’incontro organizzato dal Nuovo SEFIR avevo sviluppato alcune riflessioni sul Covid-19 prendendo spunto dalla mia pratica clinica. Oltre alle parole e ai vissuti dei pazienti che incontro nel mio studio, avevo anche affrontato alcuni temi emersi durante le supervisioni che svolgo per alcune équipe che si occupano della cura delle dipendenze patologiche.
Avrei potuto scegliere anche altri temi attingendo ad altri campi della mia esperienza professionale (per esempio, la didattica a distanza con gli allievi di due scuole di specializzazione in psicoterapia oppure la sperimentazione delle sedute online), ma avevo preferito confinare il campo di osservazione ad alcuni fenomeni psichici che possono insegnarci qualcosa per trasformare il trauma in una nuova trama.
Indice
Il Covid-19 come trauma
Nel mio discorso ero partito dall’idea che il Covid-19 è stato e continua ad essere un evento traumatico perché ci tiene assoggettati senza darci mai la sensazione di sentirci effettivamente al sicuro.
Inoltre, è un evento che, per quante informazioni ci vengano date, continua a infondere un profondo senso di incertezza: viviamo in una “stabile instabilità” che ha scardinato il nostro rapporto con il tempo e la capacità di progettazione.
Infine, il Covid-19 si è presentato come un evento che ci ha spiazzato: non avremmo infatti mai immaginato di trovarci veramente nella condizione che stiamo vivendo.
Come ogni evento traumatico la pandemia ha lacerato il nostro quadro della realtà facendo emergere una dimensione perturbante della vita da cui ci proteggiamo.
Come ogni trauma il Covid-19 ha scombussolato le nostre rappresentazioni e i nostri abituali punti di riferimento. In particolare, la paura del contagio e l’orizzonte della malattia o della morte ci hanno riportato a quella condizione di inermità che contrassegna la nostra venuta al mondo.
Freud indicava questa condizione di abbandono con il termine Hilflosigkeit per sottolineare la sensazione di abbandono e il totale disarmo di ogni difesa.
In questa condizione riviviamo le sensazioni che possono provare i bambini quando si svegliano nel cuore della notte e lanciano un grido sperando che qualcuno risponda. Quel grido potrà diventare l’espressione di un bisogno soltanto se ci sarà qualcun Altro che se ne prenderà cura.
Questa pandemia ci costringe a fare i conti con quei presupposti della nostra vita che davamo per scontato e non va interpretata come una semplice occasione per uscire dalla nostra comfort zone.
Adesso immaginate di non essere sicuri di avere il pavimento sotto i piedi. Un attimo prima di queste parole la vostra attenzione probabilmente non era rivolta alle sensazioni propriocettive dei vostri piedi, potevate leggere senza preoccuparvi della stabilità del pavimento. Ecco, ciò che riscontro nel mio lavoro clinico è che la pandemia sta mettendo in discussione le basi della vita delle persone.
Per qualche spunto in più si veda questo estratto della conferenza al Nuovo SEFIR sulle tre dimensioni del trauma.
Nel discorso che sto sviluppando andrebbe precisato che anche una delusione amorosa per alcuni soggetti può configurarsi come un trauma oppure in modo ancor più evidente la morte di una persona cara.
Quando veniamo lasciati dal partner o quando riceviamo la notizia della morte di qualcuno a noi caro viviamo un momento di spaesamento, quell’evento ci appare quasi come se non fosse reale e ci sembra di essere così intontiti non solo da non crederci ma addirittura ci sembra di non provare nulla, quasi come se a primo impatto ci sentissimo distaccati da noi stessi. In termini più specialistici, questi vissuti vengono definiti come “derealizzazione” e “depersonalizzazione”.
La fine di un amore o la perdita di una persona cara sono delle lacerazioni che provocano dolore e che richiedono un lavoro psichico di simbolizzazione per ristrutturare la trama della propria vita.
A differenza del Covid-19 però questi due esempi sconvolgono soltanto la nostra vita privata. Sono degli eventi universali perché a tutti saranno capitati almeno una volta, ma rimangono comunque privati e quando ci capitano sentiamo che il mondo sta andando avanti e sta andando avanti senza di noi.
Il Covid-19 invece ha messo in discussione proprio la possibilità e il modo in cui il mondo potrà andare avanti per ognuno di noi. In questo senso è un trauma collettivo. È questa l’incertezza di fondo che ha scosso la scena intrapsichica e relazionale delle persone che incontro nel mio lavoro.
A ciascuno il suo trauma
Leggendo la descrizione del Covid-19 in quanto trauma sono sicuro che per alcuni sarà sembrata esagerata mentre altri avrebbero aggiunto qualche altra annotazione per evidenziare la dimensione perturbante di questo periodo.
Durante la conferenza del 27 novembre ho proposto diverse esemplificazioni cliniche per mostrare che il trauma del Covid-19 esponeva le persone a differenti sollecitazioni e rotture psicopatologiche a seconda della loro struttura soggettiva.
Una pietra o un cristallo si rompono o si lasciano scalfire in base alla loro struttura, e così avviene anche per le persone.
In quest’ultimo anno si è sentito parlare tanto di resilienza psicologica, ma sapete meglio di me che la resilienza è la proprietà che nell’ambito della scienza dei materiali viene attribuita ad alcuni elementi che riescono a conservare la propria struttura o a riacquistare la forma originaria dopo essere stati sottoposti a schiacciamento o deformazione.
Ora, la materia psichica delle persone non è fatta della stessa lega di elementi. Si tratta di una questione diagnostica di cui bisogna tener conto per evitare rapide generalizzazioni che non tengono conto dell’incomparabilità dei limiti e delle risorse tra la struttura psicotica, borderline o nevrotica.
Quindi il Covid-19 ha avuto un effetto traumatizzante per tutti, ma le lacerazioni e i percorsi ricostruttivi sono stati molto diversi. In alcuni casi il trauma ha permesso di rifondare una trama generativa, in altri invece sono state enfatizzate le carenze e le problematiche di un’intera vita. Il Covid-19 è stato un trauma che ha assoggettato tutti, ma le possibilità di soggettivazione sono state fortemente condizionate dalle risorse psichiche e materiali a disposizione di ciascun soggetto.
Per approfondire, tra i libri di Nicolò Terminio, si rimanda a:
- A ciascuno la sua relazione. Psicoanalisi e fenomenologia nella pratica clinica (2019)
- L'intervallo della vita. Il Reale della clinica psicoanalitica e fenomenologica (2020)