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Una delle conseguenze della nascita di Jonas è stata l’invenzione di una nuova lingua in psicoanalisi

Invenzione ed eredità in istituzione: note sui testi fondativi di Jonas

Nel mio intervento al ventennale di Jonas ho sostenuto che una delle conseguenze della nascita di Jonas è stata l’invenzione di una nuova lingua in psicoanalisi.

Non è stato un evento previsto e non era neanche tra le intenzioni presenti nei “testi fondativi” di Jonas. Eppure, se facciamo attenzione ad alcuni particolari possiamo notare che in realtà con la fondazione di Jonas si stava aprendo una nuova stagione per la psicoanalisi, che avrebbe portato alla costruzione di un nuovo modo di intendere la teoria e la pratica clinica e, soprattutto, un nuovo modo di trasmetterla. Nell’esprimere questo giudizio sono ovviamente condizionato dalla mia appartenenza a Jonas, però ci sono alcuni elementi oggettivi della storia di Jonas che confermano la mia tesi.


Un modo recalcatiano di essere lacaniani

L’avventura editoriale di Jonas e i contributi degli autori che praticano la psicoanalisi, seguendo la concettualizzazione della “clinica del vuoto”, mostrano questa novità linguistica e danno testimonianza di un modo recalcatiano di essere lacaniani.

La nuova sintassi della lingua di Jonas non viene trasmessa dal numero di citazioni che vengono riservate ai testi di Lacan, di Recalcati o di altri maestri della tradizione psicoanalitica.

Ciò che contraddistingue la testimonianza degli autori Jonas è l’uso clinico del sapere psicoanalitico.

Le coordinate di questo modo recalcatiano di essere lacaniani sono formulate già nei testi fondativi di Jonas, dove, sebbene non sia esplicitata l’intenzione di inventare una nuova lingua, troviamo i presupposti perché ciò sia potuto avvenire.

I presupposti che hanno favorito l’invenzione di una nuova lingua sono essenzialmente due: in primo luogo l’apertura della psicoanalisi al campo sociale e poi la valorizzazione della trasmissione intergenerazionale per articolare il rapporto tra ciò che in psicoanalisi è già saputo e ciò che deve essere costantemente rinnovato per consentire l’incontro nella clinica dei nuovi sintomi.

L'istituzione in eredità

Nel transito dai testi fondativi al momento in cui una nuova lingua in psicoanalisi ha iniziato a prendere corpo possiamo rintracciare una delle traiettorie più significative e appassionanti del movimento istituzionale che ha sempre animato Jonas.

Alcuni passaggi dei testi fondativi costituiscono il corredo genetico dell’istituzione e possono essere considerati come una sorta di DNA istituzionale, ma ciò non vuol dire che stabiliscano in anticipo il viaggio istituzionale di Jonas.

La metafora del DNA ci serve piuttosto per evidenziare l’atto necessario con cui gli autori Jonas hanno ereditato i testi fondativi.

Ci sono diverse ricerche [Cfr. C. Mucci (2018), Corpi borderline. Regolazione affettiva e clinica dei disturbi di personalità, Tr. it. Raffaello Cortina, Milano 2020, pp. 26-30; A. Levi, Genetica dei ricordi. Come la vita diventa memoria, il Saggiatore, Milano 2023] che chiariscono il ruolo determinante che il contesto relazionale svolge nell’espressione dei geni presenti nel DNA: alcuni geni possono rimanere silenti oppure possono manifestarsi a seconda della stimolazione proveniente dall’ambiente esterno (l’Altro).

Nella storia di un’istituzione ciò che risulta cruciale è quindi il modo in cui si accoglie e si eredita la traccia fondativa, perché tra l’atto di fondazione e il destino c’è la responsabilità della relazione che viene instaurata con ciò che è stato scritto.

Come sottolinea Recalcati: “In un’istituzione la scrittura è tenuta a ripetersi giorno dopo giorno, non cessa di scriversi, avviene nel tran tran della sua vita ordinaria. Dopo l’atto della sua fondazione, l’istituzione deve custodire il senso di quell’atto e potrà farlo solo rinnovandolo di continuo attraverso la propria esistenza. Il che significa che la scrittura non viene più dalla singolarità assoluta di una sola mano, ma si fa corale, plurale, diventa collettiva, non è più di Uno solo, ma si realizza in stili e lingue differenti” (M. Recalcati, Il vuoto centrale, cit. p. 7).

Clinica in estensione 

L’esigenza di una nuova lingua in psicoanalisi è ben presente nelle opere di Elvio Fachinelli, uno psicoanalista che nella vita di Jonas, IRPA e delle Società Cittadine di Psicoanalisi, continua a essere fonte di ispirazione, perché con la sua testimonianza esorta ciascuno di noi ad aprire la psicoanalisi all’ignoto[Cfr. M. Recalcati, Critica della ragione psicoanalitica. Tre saggi su Elvio Fachinelli, Ponte alle Grazie, Milano 2020.]. E questo rapporto con l’ignoto può essere mantenuto solo se si continua a tenere viva la tensione sociale che anima la psicoanalisi.

Sin dall’atto di fondazione Recalcati ha sottolineato il legame tra la pratica della psicoanalisi e la vita della città: l’esperienza dell’inconscio non viene considerata solo come un fatto intimo e privato, perché l’esistenza dell’inconscio ha un impatto anche sulla costruzione dei legami sociali. E i nuovi sintomi, che caratterizzano la clinica Jonas, mostrano una duplice complicazione psicopatologica: sono sintomi senza inconscio e sintomi senza Altro.

Jonas nasce sul bordo che separa (e collega) l’intimità assoluta del soggetto (ab-soluta: sciolta da ogni legame) e il discorso sociale contemporaneo.

Ecco perché Recalcati prende spunto dalla figura biblica di Giona, da cui deriva il nome Jonas, per illustrare un duplice movimento istituzionale: da un lato si tratta di accogliere nei Centri Jonas (o Telemaco, Gianburrasca e Petit Jonas) i pazienti che hanno assopito la forza vitale dell’inconscio nel circuito infernale di un godimento rovinoso e maligno o nel deserto senza apertura della pulsione securitaria; dall’altro lato occorre portare il discorso della psicoanalisi nella vita sociale, affinché l’esperienza dell’inconscio possa risuonare come taglio e apertura all’esperienza dell’incontro.

Jonas, sulla base della direzione etica e scientifica stabilita da Recalcati nei testi fondativi, è destinata a occuparsi di quelle forme cliniche che sembrano refrattarie al trattamento psicoanalitico perché si manifestano come un rifiuto dell’inconscio.

Inoltre, Jonas non assume le sembianze di un centro psicoanalitico appartato e fuori dalla vita della città, anzi Jonas è un modo istituzionale per portare la psicoanalisi nel campo sociale, con l’intenzione di favorire una maggiore permeabilità all’esperienza dell’inconscio.

La logica dei confini istituzionali in Jonas è caratterizzata da una certa porosità che implica una desacralizzazione del sapere psicoanalitico. Jonas non si propone come un’istituzione che con i suoi sacerdoti del sapere sancisce l’accesso all’inconscio, l’estensione clinica che Recalcati propone nei testi fondativi non assomiglia a una predicazione in cui si tratta di applicare la psicoanalisi come un sapere precostituito alla realtà sociale.

L’estensione della psicoanalisi a cui esorta Recalcati è una predicazione che vuole farsi incontro, testimonianza.

E in questa esposizione della psicoanalisi al campo sociale anche la stessa psicoanalisi viene trasformata perché si scoprono nuovi modi per far funzionare la parola quando si vuole far esistere l’inconscio nella cura dei nuovi sintomi e nel discorso sociale.

Uno dei principi che troviamo nei testi fondativi di Jonas consiste dunque nel ritenere che tra inconscio e discorso sociale ci sia uno stretto legame, non soltanto perché ci sia una notevole incidenza delle dinamiche sociali nella manifestazione dei sintomi individuali, ma anche perché la psicoanalisi non può concepirsi come una disciplina isolata dalla vita della città.

Per la psicoanalisi diventa cruciale rimanere sempre in contatto con il fluire delle dinamiche sociali, solo a questa condizione la psicoanalisi può mantenere una dimensione insatura che non le consente di stabilizzarsi in formule e pratiche consolidate.

Una prassi istituente

La psicoanalisi di Jonas va pensata come un organismo vivente che è in continua evoluzione. Con i termini del filosofo Roberto Esposito – un filosofo che con il suo “paradigma immunitario” [Cfr. R. Esposito, Immunitas. Protezione e negazione della vita, Einaudi, Torino 2002] entra in risonanza con la clinica del vuoto di Recalcati –, possiamo dire che Jonas ha sempre mantenuto un equilibrio, forse un po’ isterico, tra la prassi istituente e quella istituita [Cfr. R. Esposito, Istituzione, il Mulino, Bologna 2021].

Questa dialettica interna, tra ciò che viene stabilito e ciò che viene messo perennemente in discussione, alimenta la dimensione policentrica della vita istituzionale di Jonas. Tutto ciò comporta un perenne dinamismo verso ciò che deve ancora succedere e un non placarsi mai su ciò che è stato istituito. Sicuramente si tratta di un equilibrio sintomatico in cui il “desiderio dissidente” e la “gioia eccessiva” mescolano le loro acque [Cfr. E. Fachinelli, “Il desiderio dissidente”, in Il bambino dalle uova d’oro. Brevi scritti con testi di Freud, Reich, Benjamin e Rose Thé, Feltrinelli, Milano 1974, pp. 107-113; E. Fachinelli, La mente estatica, Adelphi, Milano 1989, pp. 125-195.].

La nascita di una nuova lingua deriva da questa impronta iniziale che delinea un campo istituzionale mai saturo, sempre rivolto in avanti, come se le parole già dette e i concetti già inventati non bastassero a orientare l’incontro con il Reale dei nuovi sintomi e con le tendenze dissipative e securitarie del discorso sociale contemporaneo.

Cercare nuove parole e nuovi concetti non è un lusso epistemologico che Jonas si vuole concedere per un puro piacere della novità, si tratta piuttosto di una ricerca che scaturisce dall’urgenza di un Reale che si esprime "al di là del principio di piacere"

L'enunciazione del sapere

Ciò che ha spinto Jonas a esprimersi in una nuova lingua non è scaturito da un’esegesi dei testi di Freud e Lacan, e neanche da un loro aggiornamento a fini divulgativi, per rendere accessibile il discorso della psicoanalisi a non specialisti del settore. La questione che anima la ricerca teorica di Jonas – che Recalcati sin dai testi fondativi ha indicato come la necessità di una ricerca teorica inedita – scaturisce dal confronto con il Reale della clinica e delle dinamiche sociali.

La novità di Jonas non consiste solo nell’ipotesi di nuovi concetti che sostituiscono i precedenti, l’edificio concettuale di Jonas rimane nel solco della tradizione freudiana e lacaniana.

La lingua di Jonas va individuata nell’enunciazione attraverso cui gli enunciati della tradizione freudiana e lacaniana prendono corpo nella pratica clinica e nella trasmissione della psicoanalisi.

È l’orientamento (recalcatiano) con cui il sapere psicoanalitico viene convocato di fronte al Reale della clinica che ha consentito a Jonas di rivedere alcuni presupposti considerati come un riferimento granitico della psicoanalisi lacaniana.

Le ricerche e gli studi più attuali e accreditati della linguistica mostrano che l’impronta digitale del linguaggio umano è costituita dalla sintassi [Cfr. A. Moro (2016), Le lingue impossibili, ed. it. a cura di N. Del Maschio, Cortina, Milano 2017]: cioè si parte da alcuni principi di base da cui scaturisce un numero infinito di combinazioni. Nei testi fondativi di Jonas sono stati stabiliti un numero finito di principi che, sulla base dell’incontro con il Reale della clinica, hanno generato delle possibilità inedite nella psicoanalisi lacaniana.

Ora, è proprio a partire da questa enunciazione aperta all’incontro con l’ignoto, un’enunciazione che discende dal legame tra lo psicoanalista e la città, che Jonas ha potuto inventare una nuova sintassi in psicoanalisi, un nuovo modo cioè di comporre la sintassi dei significanti psicoanalitici per entrare in risonanza con il Reale dei nuovi sintomi e del discorso sociale contemporaneo.

Il mare aperto di Telemaco

Nei testi fondativi c’è un altro principio che preannuncia l’idioma psicoanalitico di Jonas: è costituito dall’intreccio tra la dimensione del viaggio e l’atto con cui si eredita un’istituzione. Per illustrare questo aspetto possiamo pensare ai centri Telemaco, che si configurano come una gemmazione di Jonas, come un ampliamento o una specializzazione del campo di intervento di Jonas.

Credo però sia più preciso pensare a Telemaco come una istituzione co-erede dello stesso atto di fondazione di Jonas.

Si potrebbe obiettare che nei testi fondativi di Jonas non si parla dei centri Telemaco e che a quel tempo Recalcati non aveva ancora concettualizzato il “complesso di Telemaco”, tuttavia se rileggiamo il “progetto” di Jonas possiamo notare che già lì Recalcati esorta al viaggio in mare aperto.

C’è un aforisma della Gaia scienza di Nietzsche che Recalcati riprende per indicare lo spirito e l’enunciazione con cui sarebbe iniziata l’avventura dei soci Jonas: "Abbiamo lasciato la terra e ci siamo imbarcati sulla nave! Abbiamo tagliato i ponti alle nostre spalle… Ebbene navicella, guardati innanzi! Ai tuoi fianchi c’è l’Oceano… Guai se ti coglie la nostalgia della terra, come se là ci fosse stata più libertà – e non esiste terra alcuna!" [F.W. Nietzsche (1882), La gaia scienza, in Opere, vol. V, ed. it. a cura di G. Colli e M. Montinari, Adelphi, Milano 1967, af. 124, p. 129]

La vocazione al viaggio in mare aperto, che è presente nei testi fondativi di Jonas, ci interpella senza proporci alcun modello, senza nostalgia per la terra.

Si tratta di una enunciazione che testimonia la spinta a partire non per raggiungere un modello o un approdo, ma per realizzare la “destituzione soggettiva”. È qui, nella destituzione soggettiva, nel distacco dalle identificazioni che possiamo intravedere la zattera di Telemaco.

Telemaco è una figura post-edipica perché sperimenta la sua condizione di orfano dell’ideale dell’Io. Lacan definiva l’ideale dell’Io come “la patria che l’esiliato si porterebbe attaccata alle suole delle scarpe” [J. Lacan, Il seminario, Libro V, Le formazioni dell’inconscio (1957-1958), ed. it. a cura di A. Di Ciaccia, Einaudi, Torino 2004, p. 298]. Ma, nel viaggio con cui avviene la fondazione di Jonas non viene evocata alcuna nostalgia per la terra, si tratta solo di viaggiare insieme nell’esilio.

In altre occasioni, Recalcati ha sottolineato che per Jonas “la povertà è stata la sua ricchezza”[M. Recalcati, “Prefazione”, in M. Castrillejo (a cura), Ritratti della nuova clinica. Psicoanalisi dei sintomi contemporanei, Franco Angeli, Milano 2010, p. 7] e possiamo interpretare questa povertà come l’assenza della bussola dell’ideale dell’Io. Grazie a questa assenza dell’ideale dell’Io, un’assenza che rende orfani come Telemaco, possiamo partire per fare esperienza comune del “vuoto centrale” che sostiene la circolazione dei discorsi istituzionali e clinici di Jonas.

In Jonas, per inventare una nuova lingua in psicoanalisi, è stato necessario diventare co-eredi del vuoto centrale.

Il vuoto centrale è una mancanza che consegna ciascuno al proprio esilio, da soli e senza scuse, ma non senza l’Altro. In questa dimensione insatura l’evento del linguaggio, la costruzione della sintassi, si fa innanzitutto vibrazione etica del modo di viaggiare.

Il viaggio in mare aperto sancisce la formula instabile con cui ogni nuova sintassi prende forma, senza mai trovare un riposo definitivo.

È in questo transito, per niente garantito, che ci si può incontrare come viaggiatori, come viandanti senza un cammino. Ce lo ricorda il poeta e scrittore Antonio Machado, così come i pazienti che approdano in Jonas per ripartire nella propria vita: non c’è un cammino predefinito perché il cammino si fa andando.

*** *** 

I testi fondativi di Jonas sono attualmente disponibili sul sito web di Jonas Italia. Sono stati pubblicati anche in appendice a M. Recalcati, Il vuoto centrale. Quattro brevi discorsi per una teoria psicoanalitica dell’istituzione, cura del testo di V. Vannetti, Poiesis, Alberobello (Ba) 2016, pp. 83-95. 

 

 

Psicoterapeuta Torino
Nicolò Terminio, psicoterapeuta e dottore di ricerca, lavora come psicoanalista a Torino.
La pratica psicoanalitica di Nicolò è caratterizzata dal confronto costante con la ricerca scientifica più aggiornata.
Allo stesso tempo dedica una particolare attenzione alla dimensione creativa del soggetto.
I suoi ambiti clinici e di ricerca riguardano la cura dei nuovi sintomi (ansia, attacchi di panico e depressione; anoressia, bulimia e obesità; gioco d’azzardo patologico e nuove dipendenze) e in particolare la clinica borderline.

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