Il codice paterno e il trauma della poesia
Secondo Recalcati nell’intreccio tra Legge e desiderio si gioca il ruolo essenziale del codice paterno, che stabilisce infatti la reciprocità tra queste due dimensioni.
Se in un’istituzione viene meno l’incidenza del codice paterno – se non si instaura il vincolo del “non tutto”, cioè non tutto è possibile –, allora osserviamo uno sbilanciamento a favore della Legge a discapito del desiderio o viceversa.
In queste situazioni i sintomi dell’istituzione oscillano tra una forma di totalitarismo istituzionale e un assolutismo individualista.
Nel primo caso l’istituzione si insinua nella vita dei soggetti fino al punto da estraniarli da sé stessi, e questo è il rischio di ogni forma di alienazione istituzionale. A tal proposito Recalcati riprende anche il pensiero di Franco Basaglia sul processo di istituzionalizzazione, un processo che possiamo rintracciare non soltanto nelle istituzioni manicomiali ma anche in tutte le altre istituzioni ogni qualvolta il funzionamento istituzionale abolisce la possibilità di emersione della singolarità del soggetto. L’alternativa a questa evenienza patologica non va trovata però rivendicando una forma di libertà sganciata dal vincolo del legame con l’Altro; in tal caso, invece che il desiderio singolare del soggetto, verrebbe messo in atto l’esercizio di un godimento individualista che rifiuta l’incontro con l’alterità.
Attraverso il codice paterno Recalcati valorizza l’importanza del vincolo del “non tutto è possibile” affinché possa esserci un rapporto tra il soggetto e l’Altro in cui la Legge può essere finalmente vissuta non come una limitazione frustrante per il godimento del singolo ma come l’occasione per aprire il godimento del singolo alla dinamica del desiderio.
Si tratta di un desiderio che trova il suo soddisfacimento non solo attraverso il riconoscimento simbolico dell’Altro, infatti è un desiderio che osa mettersi in gioco a partire dalla differenza Reale del soggetto. Tale differenza risulta sempre eccedente rispetto alle predeterminazioni della Legge dell’Altro e tuttavia non può manifestarsi se non a partire dal vincolo del legame con l’Altro.
Alla base di questa concezione possiamo rintracciare la logica dell’atto creativo che nel pensiero di Recalcati viene presentato come ciò che consente la generazione di un’eccedenza che supera ciò che era già stato scritto pur presupponendo l’esistenza di una trama già scritta.
In questo frangente possiamo rileggere il penultimo capitolo del libro Il miracolo della forma, dedicato al trauma della poesia, e in particolare il decimo paragrafo che si intitola “la poesia e il suo vuoto” dove troviamo le tracce di questa concettualizzazione che mette in luce quanto la riduzione al Reale scaturisca da un trattamento testuale dell’articolazione significante.
Scrive Recalcati: “La cosa dell’opera d’arte non è una cosa tra le altre, ma ciò che interrompe il circuito della rimandatività canonica per aprire (istituire) un nuovo mondo. Tale è la parola poetica quando è parola che sa produrre trauma, incontro con il reale, riduzione dell’amplificazione significante attraverso l’amplificazione significante stessa” (Il miracolo della forma, p. 223, terza edizione).
Grazie a questo snodo, in cui l’istituzione della parola poetica può essere sovrapposta alla dimensione istituente che va rinnovata nella vita delle istituzioni, possiamo recuperare il richiamo di Recalcati a Pasolini che sottolineava quanto le istituzioni potessero essere commoventi.