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Un caso clinico serve non solo come esempio della teoria, ma anche come espressione del farsi della psicoanalisi.

La scrittura del caso clinico tra scienza e creatività

In psicoanalisi la scrittura del caso clinico mette in risalto il rapporto tra scienza e creatività

Nell'intreccio tra le esigenze della scienza e le possibilità dell'arte troviamo il cuore pulsante della ricerca psicoanalitica.

Testi scientifici e scrittura creativa

Parlare del caso clinico come un’opera d’arte chiama in causa alcune considerazioni che riguardano i presupposti epistemologici della ricerca psicoanalitica e le condizioni di possibilità per la trasmissione della psicoanalisi.

La scrittura del caso clinico – che ancora oggi costituisce uno dei passaggi fondamentali nella formazione degli psicoterapeuti di qualsiasi orientamento, non solo psicodinamico – ci pone un problema di classificazione; infatti, non possiamo decidere facilmente se ricondurla al genere dei saggi o testi scientifici oppure se considerarla come una forma di scrittura creativa o narrativa.

In generale non è molto facile distinguere questi due tipi di scrittura, ci sono dei casi eminenti che rendono piuttosto labili i confini tra la categoria dei testi scientifici e dei testi letterari.

Per esempio, i testi di Galileo vengono studiati non soltanto come espressione di una nuova visione che instaura il campo della scienza, ma anche come dei capolavori letterari. Quindi un bibliotecario che vuole collocare le opere di Galileo dovrà in qualche modo prevedere una doppia collocazione perché si tratta di testi che lasciano aperta la possibilità di essere studiati su più livelli di analisi.

Potremmo anche pensare che, a differenza dei lavori scientifici, la poesia o i romanzi sono di difficile traduzione perché nel passaggio da una lingua all’altra rimane un resto indicibile che è possibile cogliere se si fa riferimento soltanto a quella lingua originale.

Invece un testo scientifico sembra mantenere la sua piena validità nonostante le possibili traduzioni e per tal ragione non si richiede che neanche venga formulato in una lingua particolare, basta avvalersi della lingua inglese per condividere i propri lavori di ricerca anche con colleghi e lettori di Paesi e culture lontanissime.

Seguendo questo principio la divisione tra la scrittura scientifica e la scrittura narrativa sembra far riecheggiare la differenza tra la dimensione universale e quella particolare, tra ciò che viene considerato nomotetico e ciò che invece si presenta come idiomatico. E sarà forse questa la ragione per cui Christopher Bollas, come racconta Vincenzo Bonaminio, in occasione di alcune supervisioni con colleghi stranieri chiedeva che i casi venissero inizialmente presentati nella loro lingua originale.

Bollas cercava di cogliere innanzitutto quel sottofondo emotivo della narrazione clinica che può essere espresso soltanto dalla lingua madre. L’ombra dell’oggetto che pervade la dimensione relazionale dell’incontro clinico può entrare tra i caratteri impressi nella pagina solo se si passa dalla lingua madre, perché nella lingua madre i confini tra la dimensione strutturata del linguaggio e lo sciame emotivo della lalangue sono meno rigidi.

Nella traduzione di un caso clinico, se seguiamo l’approccio di Bollas, rischiamo allora di perdere la vibrazione emotiva che connota la singolarità dell’incontro tra paziente e analista. In questa linea di pensiero un caso clinico si configura come un’opera d’arte perché analogamente alle poesie e ai romanzi trasmette una verità emotiva che alberga nelle parole e nella sintassi tipiche di una particolare lingua.

 

Dimostrare una tesi

Nonostante la suggestione offerta dalle analogie con le poesie e con i romanzi, credo che l’utilità della metafora dell’opera d’arte non consista nel collocare la scrittura del caso clinico in psicoanalisi sul versante narrativo, lasciando in disparte le pretese universalizzanti dello spirito scientifico e della logica argomentativa.

A questo proposito possiamo riprendere quanto osservava Umberto Eco nelle sue Confessioni di un giovane romanziere: un testo scientifico o un saggio filosofico hanno una tesi da dimostrare e invitano il lettore a partecipare a un dibattito dove si tratta di discutere una tesi.

Un testo creativo vuole invece rappresentare l’ambiguità della condizione umana e, a differenza del saggio filosofico che cerca di convincere il lettore, viene richiesta una forma di cooperazione e viene lasciata molta più libertà: di fronte a un testo creativo il lettore è molto più libero di applicare le proprie griglie interpretative o addirittura può proiettarvi il proprio fantasma inconscio fino al punto da considerare il testo come la rappresentazione più fedele delle proprie questioni irrisolte.

Quando si scrive un un saggio scientifico si può dire al lettore “tu non hai capito quello che volevo dire” e il lettore può anche dire “quello che hai detto non ha consistenza logica e non è attendibile”.

Invece quando si tratta di un testo creativo o narrativo l’autore non può dire al lettore “tu non hai capito” e non può opporsi alle interpretazioni plurime che il lettore può rivolgere al testo, né il lettore può accusare l’autore di aver inventato qualcosa che non è aderente alla realtà.

Darwin cercava di darci delle informazioni esatte e precise su quello che osservava, ma anche Melville nel momento in cui ci parla delle balene vuole in qualche modo darci testimonianza col suo racconto di qualcosa che è strettamente aderente alla realtà della condizione umana.

I saggi psicoanalitici mostrano una notevole complessità perché possono essere collocati a fianco alle opere di Darwin, ma anche ai romanzi di Melville.

Se consideriamo per esempio la trilogia psicoanalitica di Philip Bromberg dedicata al tema della dissociazione (Clinica del trauma e della dissociazione, Destare il sognatore, L’ombra dello tsunami) vediamo sfumare la distinzione tra scienza e arte perché l’autore intreccia in maniera mirabile la dimostrazione di una tesi con la presentazione della ambiguità della condizione umana.

Nei saggi psicoanalitici di Bromberg possiamo cogliere la verità degli enunciati delle tesi solo attraverso l’enunciazione che l’autore esprime attraverso la scrittura dell’incontro clinico. Nel caso dei saggi psicoanalitici l’attendibilità degli argomenti che sostengono una tesi deriva dal fatto che i concetti vengono incarnati e operazionalizzati attraverso la narrazione. È la narrazione clinica che dà evidenza scientifica alle tesi di di Bromberg.

 

Scienza e basi neurobiologiche

Poi è importante capire cosa intendiamo per evidenza scientifica, perché queste considerazioni sui lavori di Bromberg rimarrebbero valide anche se uno studioso come Allan Schore non si fosse mai dedicato a trovare una conferma e una traduzione a livello neurobiologico della prospettiva clinica di Bromberg.

L’evidenza scientifica della narrazione clinica non consiste infatti nel corrispettivo neurobiologico.

Quando affrontiamo questi temi ci muoviamo in un ambito molto particolare e dovremmo discutere non più da psicoanalisti, ma da filosofi della scienza, su quale tipo di rapporto vogliamo stabilire tra mente e cervello.

Quindi quando parliamo del rapporto tra la psicoanalisi e la scienza non stiamo aprendo la questione sulle basi neurobiologiche, che vengono accertate attraverso delle ricerche empiriche, delle narrazioni cliniche degli psicoanalisti. L’aspetto scientifico va inteso in senso logico-dimostrativo, cioè relativamente alla possibilità di argomentare e sostenere una tesi, esponendo la propria tesi anche all’incontro con il mancato convincimento dell’Altro.

 

Il farsi della teoria

In psicoanalisi la narrazione clinica è necessaria per sostenere una tesi non soltanto in virtù della sua capacità esemplificativa o grazie all’effetto emotivo che è in grado di suscitare.

La scrittura del caso clinico funziona come un’opera d’arte perché mostra il punto di insorgenza della teoria.

La scrittura del caso clinico non è solo illustrazione dei concetti né operazionalizzazione dei costrutti teorici. La narrazione non è solo a servizio della teoria, altrimenti avrebbe soltanto valore aneddotico.

Un caso clinico funziona come l’arte non per l’evocazione emotiva o per l’illustrazione pratica dei concetti teorici, ma per l’effetto di scansione logica nel farsi della teoria, una scansione da cui deriva anche un effetto emotivo. Quindi se c’è una particolare connotazione emotiva del caso riguarda non soltanto l’atmosfera e la lalangue dell’incontro, ma anche l’effetto di spiazzamento rispetto alle teorie già prestabilite.

È importante che il caso clinico dia testimonianza della singolarità, di quell’unicità che fa buco in una teoria prestabilita e che apre la necessità di formularne una nuova.

Un caso clinico diventa paradigmatico quando, come un’opera d’arte, procura un taglio nell’ombrello simbolico delle teorie esistenti.

Un taglio che fa emergere ciò che ancora non è teorizzato e che richiede di inventare la psicoanalisi nel vivo dell’incontro clinico con quel particolare paziente. Un caso clinico serve dunque non solo come esempio della teoria, ma anche come espressione del farsi della psicoanalisi, come testimonianza della dimensione unica dell’inconscio del soggetto in analisi, una dimensione unica dell’inconscio che non era stata ancora scritta da nessuna teoria e da cui tuttavia potrà esserne costruita una nuova.

 

Per qualche spunto in più guarda questo video sull'inconscio tra parola piena e parola vuota:

 

Significante Significato

 

 

Per qualche spunto in più su guarda questo video sulle due anime del desiderio:

 

Inconscio

 

 

Psicoterapeuta Torino
Nicolò Terminio, psicoterapeuta e dottore di ricerca, lavora come psicoanalista a Torino.
La pratica psicoanalitica di Nicolò è caratterizzata dal confronto costante con la ricerca scientifica più aggiornata.
Allo stesso tempo dedica una particolare attenzione alla dimensione creativa del soggetto.
I suoi ambiti clinici e di ricerca riguardano la cura dei nuovi sintomi (ansia, attacchi di panico e depressione; anoressia, bulimia e obesità; gioco d’azzardo patologico e nuove dipendenze) e in particolare la clinica borderline.

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