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L’azzardo fa sorgere la tensione irresistibile verso qualcosa di cui si avverte in modo inesorabile la necessità.

Discorso di marca, consumo e gioco d’azzardo

Dietro il luccichio che contorna il gioco d'azzardo c'è uno sfondo nero che annienta ogni possibilità di ritrovare sé stessi.

I discorsi pubblicitari dei brand che accompagnano la nostra vita provano a sedurci con quelle stesse luci che sembrano prometterci una vita finalmente soddisfatta. Il consumismo va a braccetto con l'azzardo perché fa balenare la possibilità di una pienezza che in realtà non arriverà mai.

La dimensione dell’azzardo continua ad ammaliare l’essere umano fin dalla comparsa del linguaggio. Potremmo dire che tale dimensione rimanda al possibile rapporto che l’uomo può instaurare con ciò che abita al di là delle Colonne d’Ercole del linguaggio.

L’azzardo implica un rapporto molto delicato con qualcosa di inafferrabile, che sta al di là della propria portata. L’azzardo fa sorgere la tensione irresistibile verso qualcosa di cui si avverte in modo inesorabile la necessità.

Indice

Azzardo e soddisfazione

Nella nostra esperienza quotidiana l’azzardo viene abilmente solleticato sin dalle prime ore del mattino. Durante la colazione basta guardare una confezione di biscotti o di cornflakes per vedere quanto siamo sollecitati dall’ipotesi di vincere un premio, piccolo o grande che sia non importa.

Ad ogni modo la forma logica rimane quella del premio-sorpresa che fa sperare nella possibilità di un istante di pienezza, come se per un attimo potessimo ricongiungerci con una soddisfazione piena.

La dimensione dell’azzardo collega l’istante inatteso con la pienezza della soddisfazione.

Possiamo osservare un abbinamento tra l’azzardo e i processi discorsivi impiegati nella valorizzazione dei prodotti di consumo.

L’estrazione di un premio serve a differenziare un prodotto e a incentivarne l’acquisto. In tal modo l’azzardo diventa una componente essenziale di quel processo discorsivo che il semiologo Gianfranco Marrone ha definito “discorso di marca”.

Il discorso di marca associa cose e valori e cerca di contornare i prodotti di quell’alone agalmatico che li trasforma in oggetti del desiderio.

Come scrive Marrone: "La marca […] prima d’ogni altra cosa propone valori verso cui tendere, sensi individuali e significati sociali in nome dei quali costruire, articolare e svolgere la propria identità soggettiva. In questo, più che il contenuto del singolo valore o dello specifico sistema di valori, quel che conta è il processo di valorizzazione, il percorso narrativo nel quale Soggetti, Oggetti e valori entrano in relazioni complesse e variabili fra loro, al cui interno trova spazio e giustificazione, senza comunque conservare alcun ruolo privilegiato, la razionalità economica" [G. Marrone, Il discorso di marca. Modelli semiotici per il branding, Laterza, Roma-Bari 2007. p. 333].

Le assiologie del consumo di cui parlano gli studi semiotici mettono in primo piano la necessità di alimentare il rapporto del consumatore con qualcosa di irraggiungibile:

in tal modo ciò che viene prodotto in serie viene connesso con qualcosa che sta fuori serie.

Come precisa ulteriormente Marrone: "La marca diviene necessaria perché nasce l’esigenza di trovare una differenza nella standardizzazione. Di modo che la marca moderna è qualcosa che si aggiunge al prodotto, per differenziarlo, è un segno di distinzione (rispetto alla produzione in serie) e di qualità (rispetto alla concorrenza) [Ivi, p. 9].

Ora, se il discorso di marca assume dentro la propria prassi enunciativa la dimensione dell’azzardo, mantenendola orientata nell’ottica del consumo degli oggetti, il gioco d’azzardo invece stacca l’azzardo dal consumo di un bene. Per tal ragione sociologi e psicologi parlano del gioco d’azzardo come una forma di “consumo dissipativo” [M. Croce, F. Rascazzo, Gioco d’azzardo, giovani e famiglie, pref. di L. Ciotti, Giunti - Gruppo Abele, Firenze 2013, pp. 59-60].

Angoscia e dissipazione

Un altro aspetto da considerare riguarda il fatto che proprio nei periodi storici in cui si verifica una crisi economica e un calo dei consumi avviene un aumento del numero di persone che giocano d’azzardo.

Inoltre, tale aumento risulta significativo tra le fasce sociali meno abbienti che in tal modo avranno sempre di meno e continueranno ad alimentare un’economia del debito, che sul versante dell’investimento pulsionale potremmo denominare “economia dell’angoscia” [A. Mura, “Debito e comune. Per un’etica del non-tutto”, aut-aut, 2015, n. 365, p. 88].

Nei periodi di crisi il gioco d’azzardo diventa dunque una spesa che incide sulla vita di chi possiede di meno e procura un arresto nell’acquisto dei beni di consumo.

Nel gioco d’azzardo ciò a cui si aspira non è il possesso di un bene ma il confronto con l’imprevedibilità della vita: il gioco d’azzardo mette in scena una sfida lanciata al destino.

Si tratta di una forma di gioco che sin dall’antichità si intreccia con le pratiche divinatorie: “predire il futuro, anticiparne le mosse offriva l’illusione, la speranza, il conforto di poter cambiare il corso degli eventi e agire nel modo più opportuno” [M. Croce, F. Rascazzo, Gioco d’azzardo, giovani e famiglie, cit., pp. 19-20].

Possiamo inoltre notare che negli ultimi quindici anni le modalità in cui si può giocare d’azzardo sono notevolmente mutate. Velocità e solitudine sono le due macrocategorie a cui possiamo ricondurre tali cambiamenti.

Il gioco d’azzardo è diventato sempre più una pratica solitaria, sganciata da un’effettiva partecipazione ai legami sociali.

Il tempo del gioco non segue più la scansione data dalla presenza dell’Altro, l’accesso al gioco d’azzardo è alimentato da una ripetizione continua delle giocate, una ripetizione che punta all’accelerazione e all’assottigliamento progressivo del tempo che trascorre tra un’estrazione e un’altra.

Ormai non c’è più un avversario in carne ed ossa perché l’Altro è diventato un algoritmo che fa girare una macchinetta.

Si tratta di un circolo vizioso che è uno dei grandi sintomi del capitalismo contemporaneo. Se il denaro genera denaro, esso si rende realmente autonomo dalla dimensione realmente produttiva del lavoro e del commercio. […] La vocazione maniacale del discorso del capitalista distrugge l’esperienza del soggetto, frammentando la sua memoria e rendendo vacua la sua apertura sull’avvenire. […] La macchina del consumo non genera nulla se non il consumo avido di se stessa [M. Recalcati, Le nuove melanconie. Destini del desiderio nel tempo ipermoderno, Cortina, Milano 2019, pp. 99-108].

Per qualche spunto in più guarda questo video su taglio dell'inconscio e lavoro clinico:


 

Slot machine e trappole mentali

La slot machine non si collega a nessuna forma di rituale che si possa far risalire a delle tradizioni particolari che vengono trasmesse di generazione in generazione.

Le slot machines incastonano il gioco d’azzardo in una modalità di consumo standardizzata, uguale in ogni regione d’Italia e trasversalmente presente nei diversi locali di ritrovo.

La maggior parte dei locali pubblici ha al proprio interno, in zone piuttosto appartate, delle slot machines; e se si volesse organizzare una “campagna no slot” per segnalare quei locali privi di macchinette, allora si inizierebbe a fare un po’ di fatica e ci si accorgerebbe della diffusione capillare dell’offerta di gioco d’azzardo.

Oggi il gioco d’azzardo si avvicina sempre più verso il proprio potenziale consumatore, non c’è più una soglia da varcare, le slot fanno parte della vita quotidiana e basta un clic e una piccola puntata per salire sulla giostra delle illusioni.

E nonostante tutti i giocatori d’azzardo siano consapevoli che il banco vinca sempre, molti si illudono e sperano di aggirare il funzionamento della macchinetta. In realtà però, in questo stadio, il giocatore d’azzardo è già prigioniero di una serie di “trappole mentali” [Cfr. M. Motterlini, Trappole mentali. Come difendersi dalle proprie illusioni e dagli inganni altrui, Rizzoli, Milano 2011 (1ª ed. 2008)] da cui non riuscirà più a liberarsi da solo.

Per qualche spunto in più guarda questo video su emozioni e tempo vissuto: 


 

Per approfondire, tra i libri di Nicolò Terminio, si rimanda a:

  • Tradurre dal silenzio. La psicoanalisi come esperienza assoluta (2018)
  • A ciascuno la sua relazione. Psicoanalisi e fenomenologia nella pratica clinica (2019)
  • L'intervallo della vita. Il Reale della clinica psicoanalitica e fenomenologica (2020)

 

 

Psicoterapeuta Torino
Nicolò Terminio, psicoterapeuta e dottore di ricerca, lavora come psicoanalista a Torino.
La pratica psicoanalitica di Nicolò è caratterizzata dal confronto costante con la ricerca scientifica più aggiornata.
Allo stesso tempo dedica una particolare attenzione alla dimensione creativa del soggetto.
I suoi ambiti clinici e di ricerca riguardano la cura dei nuovi sintomi (ansia, attacchi di panico e depressione; anoressia, bulimia e obesità; gioco d’azzardo patologico e nuove dipendenze) e in particolare la clinica borderline.

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