Anoressia e bulimia a confronto
La differenza principale tra anoressia e bulimia è scandita dall'oscillazione tra controllo e perdita del controllo. Entrambe però sono due malattie dell'amore.
I sintomi dell’anoressia-bulimia parlano del soggetto dell’inconscio e non sono dei meri disturbi del comportamento alimentare, né tantomeno dei disturbi da aggiustare.
Questi sintomi così ostinati a guarire continuano a esistere per dare voce al soggetto e parlano dell’amore, della mancanza del segno d’amore.
Massimo Recalcati nel suo libro L'ultima cena (1997) formula una “teoria fondamentalmente romantica dell’anoressia-bulimia” (Recalcati 1997, p. 13). L’anoressica mostra il tentativo disperato di ottenere "il segno d’amore da un Altro (familiare, sociale, culturale) che fraintende sistematicamente lo statuto del desiderio con quello del bisogno, e, dunque, risponde alla domanda d’amore del soggetto con la propria 'pappa asfissiante'” (Recalcati 1997, p. 13)
La bulimica invece prova a compensare “l’assenza del segno d’amore – dunque la frustrazione della propria domanda d’amore – attraverso la rincorsa continua e infinitamente vorace dell’oggetto-cibo” (Recalcati 1997, p. 13).
In entrambi i casi si tratta di due strategie che il soggetto mette in atto di fronte alla carenza del segno d’amore.
Il rifiuto anoressico e la compulsione bulimica si configurano come modalità sintomatiche attraverso cui il desiderio inconscio del soggetto si pronuncia. Da questo punto di vista l’anoressia è ancora una metafora del desiderio e una forma cifrata di appello all’Altro.
Recalcati ha però messo in luce un’altra dimensione dell’anoressia-bulimia dove il sintomo non è solo espressione del desiderio inconscio, ma una modalità per difendersi o rifiutare il desiderio stesso. Recalcati sintetizza questa duplice lettura della psicopatologia anoressico-bulimica indicando il passaggio dal “rifiuto come desiderio” al “desiderio come rifiuto”.
"È facile allora scorgere la doppia faccia dell’anoressia. È una malattia dell’amore perché per amore l’anoressica è disposta a morire, ma è anche una negazione del desiderio perché l’inibizione anoressica impone una cancellazione del desiderio dal corpo" (Recalcati, Zuccardi Merli, Anoressia, bulimia e obesità, 2006, p. 75).
Nell’anoressia il desiderio come rifiuto si manifesta essenzialmente rispetto al corpo e alla relazione con l’Altro.
Possiamo infatti individuare nell’anoressia una modalità di autocontrollo che viene applicata al corpo: il corpo viene congelato attraverso un’estenuante disciplina che piega i principi della dieta all’esigenza di un governo totale della mente sul corpo. Si tratta di un controllo che vuole ripristinare la sensazione di padronanza di sé: se la relazione con l’Altro è piena di rischi e di delusioni, dove ogni volta si è esposti alla possibilità di essere lasciati, allora diventa forse più rassicurante riuscire a fare a meno del legame con l’Altro per ritrovare stabilità concentrandosi su sé stessi.
Una delle tipiche congiunture relazionali che scandiscono l’esordio della disciplina anoressica riguarda la rottura dei legami sentimentali, dove il soggetto sperimenta appunto, attraverso la fine di una storia d’amore, la mancanza di autosufficienza (Cfr. Recalcati, Zuccardi Merli, Anoressia, bulimia e obesità, 2006, pp. 84-85).
L’anoressia sembra promettere il raggiungimento di una condizione soggettiva dove si può vivere senza l’Altro. Nell’anoressia però il rifiuto dell’Altro si trasforma ben presto nel controllo del corpo, che diventa esso stesso un Altro su cui rivalersi: da questo punto di vista possiamo rintracciare una sorta di trattamento della ferita d’amore mediante il recupero della padronanza di sé.
L’anoressia rappresenta dunque l’esempio principe della volontà di governo di sé in quanto consente al soggetto di illudersi di averla vinta su ciò che appare ingovernabile: la pulsione.
In tal modo il braccio di ferro sul controllo della relazione intersoggettiva viene spostato nel rapporto con il proprio corpo pulsionale. Domare l’appetito diventa un modo per realizzare la vittoria della mente sul corpo. Il progetto anoressico viene così assorbito in un circuito chiuso che, attorno all’oggetto-cibo (ridotto a oggetto-niente), costruisce una pratica disciplinare che eleva il controllo a modalità esistenziale. Tutto ciò che riguarda l’assunzione o il rifiuto del cibo deve essere pianificato e calcolato in funzione di “un dominio, di un controllo integrale, senza resti, dell’Ideale sulla pulsione” (Recalcati 1997, p. 22).
Su questa strada l’inciampo è però sempre dietro l’angolo e la pulsione può prendere alla sprovvista. La crisi bulimica rappresenta infatti il cedimento dell’armatura anoressica: qualcosa del corpo si insinua e rompe gli argini della rinuncia pulsionale. Nella prospettiva recalcatiana la bulimia è un cedimento del progetto anoressico, la logica che ispira l’oscillazione tra anoressia e bulimia è una e riguarda la dialettica tra la dimensione dell’Ideale e il Reale pulsionale. Per tal ragione la bulimia viene definita da Recalcati come un “dialetto dell’anoressia” (Recalcati 1997, p. 26).
L’anoressia-bulimia nella versione del desiderio come rifiuto mostra una declinazione del sintomo che non rappresenta una metafora dell’inconscio quanto piuttosto un rifiuto e una barriera dell’incidenza dell’Altro nell’esistenza del soggetto: “l’anoressica si rifiuta letteralmente alla tavola dell’Altro” (Recalcati 1997, p. 305). Questo dato clinico ha portato progressivamente Recalcati ad ampliare la sua riflessione clinica sull’anoressia-bulimia considerando il sintomo anche come rigetto o negazione dell’inconscio.