Incontrarsi a scuola
La scuola è un soggetto o un’istituzione? È forse entrambe le cose e quello che la rende unica è l’insegnamento, prima ancora che l’educazione o la formazione.
La scuola è un luogo d’incontro tra docenti e studenti dove accade l’insegnamento.
Insegnare attraverso l'enunciazione
Capire cosa vuol dire insegnare richiederebbe una riflessione senza fine, possiamo però attenerci al significato più letterale che riguarda la questione del segnare, del segnare in. In questo modo l’insegnamento potrebbe essere inteso come un’esperienza dove l’apprendimento non può essere ridotto all’acquisizione di conoscenze o alla maturazione di competenze.
Se l’apprendimento non è collegato all’esperienza della soggettivazione allora non c’è insegnamento.
Nell’insegnamento la trasmissione del sapere tocca il vivo della carne e lascia una traccia che scandisce un prima e un dopo. E ciò vale non soltanto per gli studenti, ma anche per i docenti.
Se chi insegna non apprende mentre sta insegnando allora sta semplicemente proponendo un sapere già saputo che rimarrà come una materia inerte tanto per chi lo ascolta quanto per chi lo enuncia.
Ci troviamo allora di fronte al punto vertiginoso dell’insegnamento: la differenza irriducibile tra enunciati ed enunciazione. Possiamo trasmettere o apprendere tanti enunciati, ma ciò che li rende effettivamente vivi è l’enunciazione che li trasmette e l’enunciazione di chi li recepisce.
Nella relazione tra insegnanti e allievi avviene il passaggio degli enunciati, elementi che possono anche essere misurati e quantificati, ma a scuola la vera sostanza dell’incontro è costituita dalla vibrazione che fa risuonare l’enunciazione del docente insieme a quella degli studenti. In tal senso l’insegnamento diventa un’opera d’arte perché mette in gioco la trasmissione di un elemento invisibile e non misurabile attraverso la presentazione di una serie di contenuti che possono essere osservati e valutati.
Non tutto quindi a scuola può essere verificato e padroneggiato attraverso percorsi didattici prestabiliti o attraverso strategie di apprendimento ben consolidate, esiste un evento contingente che nessun discorso prestabilito, e forse nessuna buona intenzione, può garantire. È l’evento dell’insegnamento che fa della scuola un luogo di incontro, un luogo di incontro con il sapere dell’Altro che mette in gioco l’enunciazione erotica e desiderante di ciascuno, allievi e insegnanti compresi.
Ripetere l'evento
Negli studi gruppoanalitici viene sottolineato che se il conduttore di un gruppo non si trasforma nel corso delle sedute di gruppo, allora non può avvenire nessun cambiamento per i pazienti. Credo che questo principio riguardi qualsiasi dimensione relazionale che abbia come proposito quello di trasformare l’esistente, per aprire l’esistenza al nuovo.
Lavorare sulle tracce del sapere depositato nella storia, nella tradizione, nel luogo dell’Altro può diventare un’esperienza trasformativa solo se si prova a inventare ogni volta un nuovo rapporto con ciò che c’è già. Possiamo considerare allora una prima forma di ripetizione del sapere che non produce alcun effetto trasformativo e una seconda forma di ripetizione che introduce invece un’eccedenza che supera quanto è stato già detto.
A scuola non importa necessariamente che venga trasformato il sapere già costituito, la vera posta in gioco riguarda la trasformazione di chi prova a trasmettere quel sapere e di chi lo recepisce e lo accoglie con un’occasione per rinascere a sé stesso.
Non è utopia, è questa la vera esperienza dell’insegnamento, quando vogliamo considerare l’insegnamento come un’esperienza che cambia la vita e la apre a un destino imprevisto. Forse potrà sembrare esagerato, però se all’orizzonte della pratica dell’insegnamento non viene posto l’evento dell’insegnamento, allora il rischio di scivolare nell’apatia o nella burocrazia diventa altamente probabile.
Pluralizzare i discorsi
Quando si perde l’orizzonte della soggettivazione del sapere la scuola perde il suo incanto e spegne quella luce che la rende viva.
Certo, non si può pretendere dal singolo insegnante che mantenga sempre accesa quella fiammella che lo porta a rinnovare costantemente il suo rapporto con il sapere, in modo da presentarlo come un sapere aperto all’urgenza degli studenti che non attendono altro che una parola in grado di connettersi a quanto di più intimo li attraversa e li supera.
Affinché l’insegnante possa mantenere un rapporto insaturo con il sapere occorre che la scuola non sia colonizzata da un discorso burocratico che appiattisce la dimensione dell’insegnamento in una pratica da svolgere secondo prescrizioni e obiettivi del tutto prestabiliti.
La scuola ha bisogno di sostenere l’evento dell’insegnamento per continuare a essere un luogo vivo e per fare questo deve necessariamente oscillare tra più discorsi istituzionali. L’insegnante deve dunque potersi muovere tra più discorsi, altrimenti rischia di atrofizzare il suo rapporto con il sapere e di cadere in quella sindrome del burn out che colpisce tanti docenti così come tanti operatori della salute mentale.
La scuola condivide con le istituzioni della salute mentale la necessità di funzionare secondo una pluralità di discorsi, se il discorso che attraversa le attività scolastiche è soltanto quello della burocrazia allora la vita si spegne e la scuola perde la sua ragione di esistere, diventando un luogo irrilevante per la vita degli studenti, degli insegnanti e dell’intera comunità.
La funzione della scuola non può essere confinata alle mura dell’edificio che la ospita, il luogo fisico della scuola è più ampio e fa pienamente parte del campo sociale.
Custodire l’evento dell’insegnamento a scuola ha un valore politico.
Se la scuola mantiene la sua funzione di soggettivazione attraverso la trasmissione del sapere, allora anche la società nel suo insieme viene vivificata e “liberata” da quelle logiche che privilegiano un funzionamento collettivo basato sulla performance e sulla competizione.
Se la scuola continua a essere il luogo dell’insegnamento anche la società e la vita pubblica possono continuare a imparare quanto sia necessario coltivare quel presente d’incarnazione che si realizza nel tempo della scuola.
La scuola non dovrebbe essere considerata solo come uno strumento che consente di acquisire quelle conoscenze e quelle competenze che permetteranno di adattarsi alla realtà sociale e al mondo del lavoro. La scuola deve mantenere la sua specificità continuando a coltivare una modalità di esistenza che privilegia il rapporto con ciò che a prima vista risulta inutile, ma che per ciascuno di noi continua a pulsare come quell’eccedenza che dona senso e soddisfazione al nostro incedere nella vita.
Sognare il futuro
Per la psicoanalisi ciò che è inutile è affine al desiderio, il desiderio infatti non è orientabile attraverso la logica della padronanza o della prestazione. L’esperienza del desiderio conduce ciascuno a sperimentare il rapporto con quel mistero che travalica la logica fallica. Il fallo in psicoanalisi sarebbe un indicatore di pienezza, il desiderio invece appartiene alla mancanza d’essere di cui è fatta la stoffa della nostra esistenza.
La conquista orientata dalla logica fallica, secondo la psicoanalisi, ha la pretesa di raggiungere padronanza ed efficienza nel rapporto con la realtà. Il desiderio invece guarda altrove, il desiderio è ciò che si presenta come un sogno che conduce lo sguardo al di là di ciò che esiste nella realtà.
I sogni scaturiscono dalle tracce del passato, ma non sono soltanto la riproposizione di ciò che è avvenuto nel passato, nei sogni il desiderio del soggetto si presenta anche come superamento, come trasformazione che preannuncia quel cambiamento che deve ancora avvenire.
I sogni ci conducono in una dimensione temporale che non è scandita dai tempi della burocrazia istituzionale, i sogni accadono in un momento presente in cui si fa esperienza di un tempo fuori dal tempo, un tempo in cui siamo vivi al di là dell’esigenza di adattarci alla realtà, è il tempo in cui proviamo a trasfigurare la realtà a partire dalla nostra apertura desiderante. Ecco perché l’insegnamento scolastico dovrebbe essere inteso in rapporto al sogno.
Il sapere che viene insegnato non serve solo ad acquisire conoscenze e competenze, ma va messo anche a servizio della possibilità di sognare perché, come scriveva in uno dei suoi versi Borges, durano nel tempo solo le cose che non furono del tempo. È questo tempo dell’insegnamento che la scuola può donare agli studenti, ai docenti, alla vita della città e a tutti coloro che se ne prendono cura e la tengono a mente come quel luogo d’eccezione grazie al quale continuiamo a divenire ciò che non saremmo mai stati.
Per qualche spunto in più su guarda questo video sulle due anime del desiderio: