Accostarsi alla vita nell’incontro clinico
La prospettiva terapeutica che viene proposta da Di Petta e Tittarelli può essere sintetizzata da una citazione: “la vita si accosta solo con la vita” (Le psicosi sintetiche, 2016, p. 35).
L’atteggiamento relazionale che viene promosso nel libro Le psicosi sintetiche. Il contributo della psicopatologia fenomenologica italiana alle psicosi indotte da sostanze pone infatti in primo piano una modalità di incontro che privilegia un rapporto Io-Tu dove l’operatore (che non deve essere necessariamente uno psicolaureato) è disposto a portare la relazione con il paziente “fino in fondo”.
Indice
Io-Tu fino in fondo
Fino in fondo vuol dire fino al punto dove può generarsi un vero contatto che metta in condivisione il sentire mineralizzato del paziente con il sentire interessato e desiderante dell’operatore. Come scrivono Di Petta e Tittarelli: “Questo discorso vuole fondare, quindi, le condizioni di possibilità di un contatto interpersonale spiazzante, tra l’operatore e l’utente, capace di bucare lo schermo crepuscolare della coscienza tossicomane e di catturare la sua intenzionalità, ai fini di un progetto-di-mondo co-costruito” (Le psicosi sintetiche, 2016, pp. 23-24).
Sebbene Di Petta e Tittarelli non facciano un esplicito e approfondito cenno al tema del “desiderio dell’operatore” possiamo rintracciare tra le righe un richiamo deciso all’operatore come soggetto che nella relazione con il paziente è disposto a metterci del proprio.
È solo grazie a questo presupposto relazionale che l’approccio Dasein-analitico può giungere a quel “riscaldamento emotivo” necessario per incontrare i pazienti con le psicosi sintetiche.
Il merito di Gilberto Di Petta, e negli ultimi anni di Danilo Tittarelli che ne ha seguito la scia, è di rendere la fenomenologia un sapere vivente. La specificità fenomenologica del loro contributo consiste nel mostrare un’accurata semeiotica dell’esperienza cosciente dei loro pazienti tossicomanici e allo stesso tempo nell’applicare questa comprensione psicopatologica nel vivo della relazione Io-Tu.
Nella relazione Io-Tu si gioca non solo la possibilità di comprendere ma anche quella di costruire una prima forma di aggancio e alleanza terapeutica.
Se siamo orientati dalla fenomenologia saremo allora disposti a incontrare il paziente compiendo un’epoché del nostro ruolo sanitario, ovvero saremo pronti a mettere da parte la divisa professionale con cui ci identifichiamo e grazie a questa rinuncia potremo realmente entrare in relazione con i pazienti tossicomani.
Si tratta di una indicazione di metodo sulla possibilità dell’incontro fenomenologico: mettere da parte la burocrazia, mettere da parte il ruolo e mettere in evidenza la relazione Io-Tu.
Per qualche spunto in più si veda questo breve video sull'operatore come intercessore dell'evento:
Io-Tu insieme ma distinti
L’intervento clinico con i nuovi pazienti tossicomani potrà essere trasformativo a condizione che l’operatore desideri incontrare il paziente in una relazione in cui è disposto a mettersi in gioco.
Solo per questa via potrà arrivare a incontrare il paziente condividendo la peculiarità della sua esperienza, trasformarla in esperienza condivisa e ritradurla in qualcosa che non appartiene più al vissuto solipsistico di un Io-spettatore degli automatismi innestati e organizzati dallo psicoma. Si tratterà di entrare nel vivo dell’esperienza del paziente e di immedesimarsi nel suo vissuto.
Dobbiamo far capire al paziente che sappiamo di cosa ci sta parlando, anche se siamo persone che non fanno uso di sostanze, il paziente deve comunque uscire dalla seduta, sin dal primo incontro, con l’idea che ha trovato qualcuno che gli ha fatto rivedere quello che prova e sente.
La prima alterazione, la prima interferenza terapeutica consisterà appunto nello stare insieme per rivedere insieme ciò che è successo: già questa esperienza di co-visione fa nascere un possibile germoglio di cambiamento.
Al tempo stesso non dovremo essere quelli che rischiano di confondersi con il paziente, ad un certo punto bisognerà introdurre una giusta asimmetria relazionale, bisognerà dare un limite al godimento rovinoso che la sostanza produce. Anche il caso clinico presentato e discusso alla fine del libro da Gilberto Di Petta dimostra come si possa stare insieme al paziente senza diventare come l’altro: Io-Tu insieme ma distinti.
Da questo punto di vista il sapere che Di Petta e Tittarelli cercano di trasmettere è un sapere che cerca di mettere in movimento l’operatore. E questo è ancora più evidente quando riportano le loro esperienze e le loro riflessioni pratiche sull’utilizzo del gruppo Dasein-analitico come metodo di intervento privilegiato per aprire un varco nel mondo tossicomane, per alterare il mondo tossicomane innestandovi il germe del senso e della relazione.
Una relazione terapeutica che però non passa in maniera elettiva per la via del dialogo e dell’elaborazione, perché si appoggia principalmente sulla possibilità di riconoscersi come esseri umani, di piangere insieme, di condividere le proprie emozioni e talvolta di abbracciarsi anche, per scoprire che il più potente e sovversivo strumento per alterare e rendere vivida l’esperienza soggettiva è la presenza di un altro essere umano disposto a esserci fino in fondo.