Amare l’inconscio
Una delle prime accezioni che possiamo dare al movimento transferale, osservando l’asse analizzante-inconscio, è quella che accomuna il transfert all’amore.
Quando chiediamo all’analizzante di seguire la regola fondamentale è come se gli proponessimo un invito ad amare, a divenire amante (erastés) del proprio inconscio.
«L’inconscio primario non esiste come sapere. Perché divenga un sapere, per farlo esistere come sapere, ci vuole l’amore. Per questo motivo Lacan ha potuto dire, alla fine del suo Seminario I Nomi-del-Padre, che una psicoanalisi richiede di amare il proprio inconscio. È il solo modo di fare, di stabilire un rapporto tra S1 e S2. Perché, allo stato primario, abbiamo degli uni disgiunti, abbiamo degli uni sparsi. Dunque, una psicoanalisi richiede di amare il proprio inconscio per far esistere, non il rapporto sessuale, ma il rapporto simbolico» [J.-A. Miller (2004), Una fantasia, «La Psicoanalisi», n. 38, 2005, p. 34].
Nella prospettiva lacaniana il sapere inconscio che viene chiamato in causa nel transfert è in grado di suscitare l’amore perché spinge il soggetto a mettere in gioco ciò che non ha.
Nell’inconscio è racchiuso ciò che manca al soggetto e che attiva il suo movimento di ricerca.
«L’amore consiste nel dare ciò che non si ha. […] Quanto vi dirò la prossima volta vi mostrerà in che modo ciò che si svolge nel Simposio ci permetta di qualificare le due funzioni, dell’amante e dell’amato, con tutto il rigore di cui è capace l’esperienza analitica. […] Per dirlo con le formule a cui siamo giunti, vedrete apparire chiaramente l’amante come il soggetto del desiderio, con tutto il peso che ha per noi il termine desiderio, e l’amato come colui che, in questa coppia, è il solo ad avere qualcosa» [J. Lacan, Il seminario, Libro VIII, Il transfert (1960-1961), ed. it. a cura di A. Di Ciaccia, Einaudi, Torino 2008, p. 39].
Si parla di amore transferale non perché il paziente si innamorerà dell’analista (in questo caso il movimento sarebbe spostato sull’asse analizzante-analista che, come vedremo più avanti, dà luogo a una domanda diversa), quanto piuttosto perché viene cercato quel qualcosa che non si acciuffa mai. L’analogia tra l’amore e il transfert è data dunque dalla ricerca di un “oggetto” che l’analizzante non possiede e a cui sente tuttavia di essere intimamente legato.
Si parla di amore transferale non perché il paziente si innamorerà dell’analista (in questo caso il movimento sarebbe spostato sull’asse analizzante-analista che, come vedremo più avanti, dà luogo a una domanda diversa), quanto piuttosto perché viene cercato quel qualcosa che non si acciuffa mai. L’analogia tra l’amore e il transfert è data dunque dalla ricerca di un “oggetto” che l’analizzante non possiede e a cui sente tuttavia di essere intimamente legato.
Per qualche spunto in più si veda questo video sul transfert come romanzo e come lettera:
Per approfondire, tra i libri di Nicolò Terminio, si rimanda a: